lunedì 25 novembre 2019

domenica 24 novembre 2019

Perfezzione !. Sic

Sic!

Modello

Fu invece l'inizio della rivoluzione "inavvertita" del digitale, ossia della sua penetrazione "banale" nella vita e negli oggetti di tutti i giorni. Questa diffusione nel quotidiano andava (e va tuttora) in una direzione a mio parere differente da quella prospettata dal mito della grande "convergenza digitale" (che peraltro aveva come modello economico-produttivo e di consumo la televisione).
Federico Pellizzi



http://www3.unibo.it/boll900//numeri/2003-i/W-bol2/Pellizzi/Pellizzitesto.html#22

Ma



. E molto ni, tubature e ìnfìssì, che latin dovendo fabbricare tutto da soli. Ma soprattutto, una costruzione è robuua in funzione del modo in cui è stata rnria-tata, non del materiale con cui e c struita. Se il materiale è indistruttibi le, l'unica cosa che dovrai fare è co struire la tua torre per bene, in modo ordinato e corretto. Se non vorrete limitarvi solo ad ammirarla, ma anche salirci sopra per guardare più lontano, potrete farlo. i mattoni con cui avrete fatto questa costruzione sono di un materiale eterno e immutabile, che si chiama matematica. Non è necessario che sappiate come sono stati
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.così come per montare und cognizione occorre saper usare il cacciavite e la chiave inglese. Non vi aspettate un esasperato ri-gore matematico - è quasi assente. Per poter usare la fisica, per poterci ragionare, il livello di rigore matema-tico richiesto non è così elevato. Altro discorso se vogliamo fare nuova fisi-ca, se vogliamo trovare regole che la natura ci ha tenuto nascoste finora -lì il rigore matematico più assoluto è necessario, non si possono fare scon-ti. Non si può costruire sulla sabbia. Ma si può fare una cosa diversa. Si chiama modularità. È molto più facile costruire una ca-sa partendo da moduli, cioè da ogget-ti discreti prefabbricati come matto-ni, tubature e infissi, che non doven-do fabbricare tutto da soli. Ma soprat-tutto, una costruzione è robusta in funzione del modo in cui è stata mon-tata, non del materiale con Cui è Co-struita. Se il materiale è indistruttibi dovrai fare è co-
così come per montare und cognizione occorre saper usare il cacciavite e la chiave inglese. Non vi aspettate un esasperato ri-gore matematico - è quasi assente. Per poter usare la fisica, per poterci ragionare, il livello di rigore matematico richiesto non è così elevato. Altro discorso se vogliamo fare nuova fisi-ca, se vogliamo trovare regole che la natura ci ha tenuto nascoste finora -lì il rigore matematico più assoluto è necessario, non si possono fare sconti. Non si può costruire sulla sabbia. Ma si può fare una cosa diversa. Si chiama modularità. È molto più facile costruire una casa partendo da moduli, cioè da ogget-ti discreti prefabbricati come mattoni, tubature e infissi, che non dovendo fabbricare tutto da soli. Ma soprattutto, una costruzione è robusta in funzione del modo in cui è stata montata, non del materiale con Cui è Costruita. Se il materiale è indistrutte dovrai farne, in


mattoni con cui avrete fatto questa Costruzione sono di un materiale eterno e immutabile, che si chiama matematica. Non è necessario che sappiate come sono stati fabbricati —certo, sarebbe auspicabile, ma quella è un'altra disciplina. Si chiama, per l'appunto, matematica. Qui, in questo libro, imparerete a fare fisica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo brano è uno stralcio della prefazione di Marco Malvaldi al libro di Leonard Susskind e George Hrabovsky Il minimo teorico. L'indispensabile per fare della (buona) fisica, Cortina Editore, Milano, pagg. 216, € 21, in libreria da martedì 26

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 mattoni con cui avrete fatto questa Costruzione sono di un materiale eterno e immutabile, che si chiama matematica. Non è necessario che sappiate come sono stati fabbricati —certo, sarebbe auspicabile, ma quella è un'altra disciplina. Si chiama, per l'appunto, matematica. Qui, in questo libro, imparerete a fare fisica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo brano è uno stralcio della prefazione di Marco Malvaldi al libro di Leonard Susskind e George Hrabovsky Il minimo teorico. L'indispensabile per fare della (buona) fisica, Cortina Editore, Milano, pagg. 216, € 21, in libreria da martedì 26

Matematica a scuola

A un certo punto arrivò il libro di Emma strutturato, fatto bene, che riprendeva il lavoro in modo sistematico..
Funzionava per i  bravi che studiavano, non per quelli che ne avrebbero avuto bisogno..

venerdì 22 novembre 2019

Caso






Caso Cucchi. Pare si stia diffondendo una corrente di pensiero "alternativa" che, anche attraverso lettere aperte e anonime (ma prevedo fior di articoli di giornale firmati, con la stessa tesi) invita Ilaria Cucchi a farla finita di esaltarsi per la condanna degli assassini perché suo fratello non è un eroe (e chi lo dice, chi lo pretende?), ma soprattutto perché la madre di Stefano, invitata a scegliere un avvocato dopo l'arresto di suo figlio, disse al telefono che non se ne sarebbe interessata perché "quel delinquente" l'aveva fatta soffrire abbastanza. Atteggiamento avuto anche da Ilaria Cucchi negli ultimi anni di vita di Stefano. Parenti serpenti, si sa (un po' da ambo le parti, in questo caso).

Ebbene. Spiace vedere che qualcuno "fa girare" di queste fallacie, per mantenere un linguaggio sobrio. Possono essere tutte vere le affermazioni qui contenute, e in tal caso la madre della futura vittima ha la mia comprensione: era stanca, delusa, arrabbiata con suo figlio. E aveva ragione. Non per questo lo si può uccidere, e di certo non da parte dello Stato - che, infatti, ha condannato i colpevoli e le discussioni sono finite. Sono finite?

Quanto alla sorella Ilaria, che potrebbe volere visibilità: se anche fosse questo il suo obiettivo, e di suo fratello non le interessasse nulla, il problema è suo.

Astronave


Al semaforo

La ragazza un-sacco-figa e la signora cieca al semaforo
[è chiaro che mi lascio guidare da pregiudizi, ma la ragazza a due passi dalla signora continua a compulsare il suo phone, forse vede la signora che ha sotto il naso e che prova ad attraverare al semaforo, non fa una piega, mi affretto ad attraversare e le vado incontro (alla signora) e cominciamo un breve percorso insieme, la signora mi conferma che non avrebbe attraversato con il suo prezioso bastone bianco sin quando non si fosse accertata che era possibile (non le ho chiesto come, forse si sente uno scatto, così sembra, stando sotto al semaforo che lampeggia), poi mi ringrazia e mi chiede per dove andare per la farmacia, la signora è simpatica, serena, la indirizzo e le chiedo se vuol prendere con me il bus per due fermate che la lascerà nei pressi, dice no, che preferisce fare due passi, e si avvia rasentanto il muro, prendo il bus, non so niente di che fine ha fatto la strafiga, la signora gentile mi ha sorriso brevemente]

⚡Quando premo il tasto, non quello per la prenotazione della chiamata ma l’altro, posto sotto la scatola, si attiva un bip che mi conferma il regolare funzionamento del dispositivo acustico». La "bussola" sonora posizionata sopra le lanterne è orientata sulle strisce pedonali per indicare al non vedente la direzione in cui muoversi. Appena scatta il verde, il cicalino emette un suono intermittente: è il segnale del via libera. Il suono diventa incalzante quando scatta il giallo, poi cessa col rosso.

Quando Zavattini

Quando Zavattini se ne uscì con la teoria del pedinamento di un passante qualsiasi perché ogni uomo è una storia degna di essere raccontata, poteva succedere che il pedinato, l' uomo qualsiasi, l' individuo anonimo tra la folla, appena mostrava la sua faccia, altri non fosse se non lo stesso Cesare Zavattini, quella Prima Persona volta a volta impertinente e gentile, triste e dispettosa, che si affaccia dalla pagine di tutti i suoi libri. Come una condanna, in fondo alla strada Zavattini ha sempre trovato Zavattini. Per tutta la vita ha cercato di sfuggire a se stesso, ha incontrato personaggi, ha rincorso la politica e la cronaca, ha viaggiato in paesi lontani, ma i viaggi più avventurosi, ma i viaggi più avventurosi, le esplorazioni più emozionanti le ha compiute intorno al suo appartamento di Milano fino al 1935 e poi in quello di via S. Angela Merici a Roma nei lunghi anni della maturità.
]1991/10/08/ zavattini-peccatore-con-le-ali
il secondo anno dal 1989

Parlando, essendo voce e parola, l’uomo perde il suo enigma, la sua perfetta chiusura. E si svela come l’esser aperto: che parla. Aperto, perché rivolto; rivolto, perché in attesa. In attesa di chi risponda a lui che parlando domanda, e chiede relazione. Dare voce alla «vita»: questo il problema di Virginia Woolf. Per questo fu necessaria alla sua vita la scrittura, come ciò che sempre riprende nel linguaggio, ciò che al linguaggio sfugge, se appunto non accade come parola. Per questo alla Woolf la «vita» non basta: e sempre deve innestare su di essa un’altra operazione, attraverso la quale ritessere come in un’altra trama (il testo) ciò che la «vita» ha già tessuto.

La Ra[gazza ladra

gli scritti della maturità, Una storia, 10 giugno 1918 e Modena 1831 città della Charteuse, sono il personale tentativo di fare ordine nelle vicende della sua vita passata, partendo dalle origini, resuscitando i suoi antenati patrioti, i moti del ’31, e, collegando Ciro Menotti, i carbonari con i suoi nonni, nati a Marsiglia da esiliati modenesi.
] Antonio Delfini di Elio Pagliarani

«Per andare in paradiso col mio cuore \ Vado in cerca di belle signore. \ È la mia voce che muore.\ Perché Tu non ascolti o Signore? \ Vorrei tu mi armassi la mano \ per incendiare il piano padano»

AMELIA & DIVERSI
] videor.it

Lego Tom

https://www.hobbymedia.net/8884/lego-technic-top-gear-rally-car-42109

giovedì 21 novembre 2019

List-dei-videor

https://www.google.com/search?q=la+tana+della+volpe+orazio+converso&oq=la+tana+della+volpe+orazio+converso&aqs=chrome..69i57.24391j0j7&client=ms-android-vf-it-revc&sourceid=chrome-mobile&ie=UTF-8

Abruzzese, Formicolii [©opia]

Abruzzese, Formicolii su scrittura, linguaggi digitali e nuove forme mediali della lettura.

Tra le mani avete carta da leggere come si legge sulle pareti di un muro oppure avete la sua riproduzione sullo schermo in immagine fluorescente: immateriale ma comunque anche essa scolpita così come, in origine, l’alfabeto fece scavandosi la via attraverso la pietra e più avanti attraverso la cera.
Tuttavia niente pare oggi di più precario e caduco a fronte dell’onda inarrestabile dei linguaggi digitali che vanno ricombinando insieme tutti i segni insorti a far da significanti nel tempo lunghissimo della civilizzazione umana: prima, durante e dopo la scrittura. Contro di essa e insieme a suo vantaggio e svantaggio. Potenziamento e de-potenziamento a seconda dei sensi.
Eppure la carta è “pesante”, con un suo peso specifico, resistente. E lo schermo che, seppure insidioso e vulnerabile, le fa ora da luminoso supporto ci costringe ancora all’uso degli occhi come privilegiato accesso al mondo esterno: ad ogni sua cosa che abiti al di là della nostra pelle e chieda d’essere nominata.

Sappiamo bene quanto di secolo in secolo la scrittura abbia distrutto l’oralità

Tuttavia si fa sempre più motivo di lamento e di lutto la già più che prossima polverizzazione di questi supporti – comunque supporti di diversissima ma analoga rigidità, resistenza, quanto ad un effettivo accesso di esperienza vissuta – in quanto tale vanificazione sembra mettere in pericolo non solo l’editoria cartacea, il suo sistema storico e culturale, mentale e territoriale, ma con essa anche la scrittura in sé, ben oltre il libro. E oltre la sua evoluzione in ebook. Sembra annunciare la fine di ogni forma di scrittura mentale, individuale e collettiva: siamo prossimi – cioè già dentro senza accorgercene – all’implosione in altre tracce di sensorialità della straordinaria complessità dei suoi apparati geopolitici, mnemonici e relazionali, operativi,.
Ovvio entrare in allarme, se ripensiamo alle precedenti conquiste umane della tecnica, al loro potere distruttivo e, proprio in virtù di questo, rigenerativo. Sappiamo bene quanto di secolo in secolo la scrittura abbia distrutto l’oralità modificandone le forme, gli emittenti e i riceventi, facendosi carico al contempo di produrre una serie di rivoluzioni del linguaggio umano che, ancora oggi non interamente compiute, sono andate divorandosi l’un l’altra: dalla fotografia al cinema, dalla televisione al computer. Dai suoi programmi al web. Per arrivare di nuovo all’oralità o qualcosa di simile.

Possibile che un tale collasso della scrittura possa accadere in un presente di così tanta crescita esponenziale di scritture?

Eppure non è poi tanto ovvio, scontato, comprensibile questo allarme: possibile che un tale collasso della scrittura – molto più che semplice tracollo degli scriventi – possa accadere in un presente di così tanta crescita esponenziale di scritture e non soltanto di piattaforme di suoni e immagini? Sarà dunque ancora molto lunga la strada della loro perdizione? In ogni caso, insieme se non prima, dovrà accadere qualcosa di irreversibile anche nella nostra voce di dentro. Ed oltre la voce: sin nella macchina cerebrale che la detta, la fa pensare e parlare. E dentro le macchine cibernetiche ad essa sempre più biologicamente connesse, sino a farsi voce esse stesse. E pretendere di rinominare il mondo.
Per il momento ci sarà modo di continuare a editare (che altro se non predisporre, mettere in scena, in comune) e ci sarà modo di farlo per mezzo di vecchi e nuovi strumenti tipografici, nuove impronte di scrittura. Ma la durata di questo intervallo – o attesa che sia – avrà un senso a patto di ripensare sin dalle sue radici la scrittura liberandola della sua ambizione di segno indelebile e generativo, fondante, sovrano. A patto di trascinarla dunque fuori di sé, a misura delle metamorfosi sensoriali che stanno emergendo nell’esperienza vissuta del mondo.
Si può allora seguire questa nuova traccia pseudo-alfabetica o piuttosto farla riemergere per metterla alla prova. Ci fu un tempo in cui nessuno avrebbe pensato di poterla separare dalla propria voce interiore se non rimettendosi al dettato divino, sacrificandosi alla sua volontà suprema e ammutolendosi nella preghiera votiva).

Si può rivedere la scrittura, ma solo una volta che si mostri essere davvero nello stesso luogo della lettura

Si può allora rivedere la scrittura, ma solo una volta che la scrittura – liberata dalla sua tradizione autoritativa (di queste tradizioni, il presente si rivela sempre più selvaggiamente insofferente in quanto segno di esclusione e sopruso) – si mostri essere davvero nello stesso luogo della lettura: nel medesimo sentimento delle sue interpretazioni più aliene, impreviste e imprevedibili, sino all’incomprensione. E viceversa, lo stesso discorso vale per quelle scritture che bruciano se stesse e cercano un senso nelle loro stesse ceneri.
Il regime di conversazione che tanto sopravviene ai media tradizionali con il dilagare dei social network non riguarda soltanto una minuta varietà di interlocutori ma un Interlocutore Generale: un general intellect dei circuiti digitali uno a uno, uno a molti, molti a uno, molti a molti. Non ci si lasci ingannare o intimorire dalla aggressività personale, singola, di cui spesso si traveste tale condizione di massima interlocuzione: è l’eccitazione di una persona sempre più impegnata a conversare direttamente con la pluralità di discorsi che si compongono e scompongono nella singola natura di ciascun altro. Singolarità in cui il diaframma tra interiorità e esteriorità è caduto in modo molto più violento di sempre.

Le rivelazioni non dicono nulla sul futuro ma lo dicono su un presente che finalmente si riconosce per quello che è stato

Le rivelazioni non dicono nulla sul futuro ma lo dicono su un presente che finalmente si riconosce per quello che è stato. O almeno se ne risente. Lo sviluppo delle tecnologie digitali sta ora rivelando – forse non ancora producendo ma di certo rivelando – la scrittura e la lettura, l’una&l’altra, come i due indistinguibili, inseparabili momenti che la mente umana alfabetizzata pratica o almeno ha sino ad ora praticato per esprimersi ed essere espressa. Due attimi che si anticipano a vicenda. In uno stesso istante.
Quindi immersa dentro l’intensità dei processi di digitalizzazione della vita quotidiana, la scrittura – là dove il pensiero si fissa per coincidere con la lettura interiore che lo ha predetto – continua ad esserci proprio grazie agli infiniti flussi di lettura che, così a lungo resi necessari alla vita delle parole, hanno comunque la necessità – forse provvisoria, forse caduca, ma comunque qui e ora – di prodursi e riprodursi in un supporto visibile. Per quanto, appunto in virtù del loro intensificarsi, di necessità sempre più rapido ed effimero, si tratti di scritture sempre più tradotte in immagini e immagini sempre più riconsegnate come scritture. Una fantasmagoria di significanti e significati sempre più in contrasto tra loro: del resto già nei secoli ultimi il mondo s’è gonfiato di enormi accumuli e discariche di sensazioni “impure”. Ognuna di queste sensazioni, sempre di ritorno, pretende sempre ancora il completamento di una interpretazione. E tuttavia ogni interpretazione disponibile ne risulta al contempo infranta.
Se dunque a correre rischi di estinzione è l’editoria cartacea in quanto apparato che frena la ripresa di una reciproca sorgiva coincidenza tra scrittura e lettura, così inibendo il trionfo della parola viva su l’una e l’altra (o meglio sullo stesso loro avvenire nell’immaginario, sul loro “evento”), si tratta allora di capire cosa sia davvero in pericolo andando al di là del libro, materia e figura simbolica di quella distanza che la civilizzazione ha sempre più imposto tra ciò che è chiuso nella scrittura e ciò che si apre nella lettura.

Non è detto che all’editoria tradizionale venga meno la possibilità di intervenire avendo ancora una propria funzione

C’è da capire cosa sia a far tremare spingendosi a volere sentire oltre il volume-libro: sarebbe questo l’unico sigillo da aprire se si vuole godere di una rivelazione, l’unico scrigno in cui custodirla e preservarla? Sarà ancora così per molti di antico regime almeno sino a quando il libro saprà abitare ed essere abitato. Ma già ora non è più così come era prima, quando il suo abitare il mondo, comprenderlo, fu la propria forma assoluta di potere. Tanto più efficace quanto più forma di conoscenza oggettivamente distante dalla vita quotidiana dei sottomessi alla sua parola. Al suo Verbo. Ci sono state folgoranti eccezioni, ma le eccezioni ci sono per confermare la regola.
Tuttavia non è detto che all’editoria tradizionale – meglio di essa quella più leggera, meno appesantita dalla storia, dai suoi contenuti, dai suoi soggetti e dai suoi modi di produzione – venga meno la possibilità di intervenire avendo ancora una propria funzione, seppure provvisoria, a scadenze sempre più rapide e sedimentazioni sempre più segrete. Magari funzione anche sacrificale, quanto più data per salvifica. Le battaglie di retroguardia fruttano spesso persino qualcosa di più e di diverso da quelle d’avanguardia. Fanno piazza pulita dei ritardatari più irriducibili. Nella particolare congiuntura delle attuali relazioni umane – caratterizzata dalla loro implosione al di qua e al di là dell’umano – i fogli di carta (oppure le loro impronte digitali) possono ancora farsi sensibili a questo nostro particolarissimo clima.
Ma quale clima? Quale perturbazione? La qualità dei mutamenti deve sempre molto a quanto profondamente essi riescono a vivere e fare vivere la loro pulsione distruttiva. E’ allora utile fermare l’attenzione su ciò che si dilegua. Non per trattenerne il destino ma per meglio attrezzarsi per ciò che seguirà e già sta seguendo. Anzi è seguito. Per accettarne più facilmente, felicemente, la necessità. Sensazioni, appunto: stato d’allerta. Tremori in cui sapere auscultarsi, per quanto “senza volere” e “senza sapere”. Prendere appunti di sé su fogli sparsi che, una volta assolta la loro funzione, possono essere gettati via, come accade sui social.

S’è detto a lungo intorno alle doti psicosomatiche dei linguaggi digitali

Il libro monumentale continuerà ad avere mercati di antiquariato, ad essere un oggetto a caro prezzo, come l’arte sublimata dal passato o dal mercato; ma il libro effimero – la miriade di testi editi ogni anno, tra sommersi e segnalati, letti e non letti, revenants o neonati – sarà il solo a potere soddisfare non un’epoca e neppure un’epoca di mezzo, ma le giornate di congedo, di scadenza, del loro stesso tempo breve.
Nell’euforia delle nuove piattaforme espressive del web, s’è detto a lungo intorno alle doti psicosomatiche dei linguaggi digitali.
Alla valorizzazione o alla penalizzazione di queste doti va ricondotta anche la questione del conflitto, reale o simulato che sia, tra barbari e civilizzati, tra linguaggi analfabeti e linguaggi alfabetici della civilizzazione; opposizioni tanto incastrate nelle più classiche dicotomie della società moderna da essere ora, con il suo tramonto, tutte più o meno destinate ad un lungo, insistente finale.
Oggi di tali dicotomie si parla con più indecisione: cautamente nei confronti degli entusiasti della rete ma anche, seppure in chiave non apertamente critica, nei confronti dei conservatori ad oltranza della letteratura. Le ragioni di tali cautele se non ripensamenti? Molto complicate. Spesso anche molto noiose, lapalissiane o pretestuose.
Questo avviene per il fatto di volere criticare il “mondo nuovo” a partire dai criteri del “vecchio mondo” e viceversa, ma senza una possibile via d’uscita perché è proprio l’ideologia moderna del “nuovo” – il moderno che celebra se stesso aggettivandosi tale – a girare a vuoto alla stessa maniera dell’anello di Moebius che offre un solo piano d’azione facendo credere che si tratti invece di due, uno nel rovescio dell’altro

Digitale a colori




mercoledì 20 novembre 2019

L'oggetto

"interessa l'oggetto?" Mergellina* dalla stazione all'imbarco dei traghetti per le isole


martedì 19 novembre 2019

il disinganno

il più frettoloso figliolo del tempo / il disinganno / si nutre di sottigliezze acerrime e conclusive

Francesco Queirolo ha scolpito nel marmo una fitta rete che avviluppa il corpo di uomo, con un incredibile cura nel dettaglio dei nodi. ] Il Disinganno è una rappresentazione allegorica della possibilità, per ogni essere umano, di liberarsi dal peccato,
 [

L'America di Marcello


Mario -Nella grande NY degli anni sessanta convivevano i mafiosi italiani inseriti in Little Italy organicamente, i ghetti neri di Harlem, i portoricani arrivati in massa a minare alla base l'etica Protestante del Lavoro che per fortuna egemonizzava il tutto e lo rendeva progressivo. Mario sul Lungomare di Cittadella, appena ritornato dopo aver venduto la sua fabbrichetta, mi raccontava la vita quotidiana nella città-guida del mondo libero: gli stessi enormi problemi di cui si parla a Partigi oggi in un'affresco preziosissimo non ideologica con l'occhio di un'immigrato in fuga dalla fame del dopoguerra italiano. Seguirono in Italia gli anni della mistificazione rivoluzionaria a scoppio ritardato che rigettava il campo occidentale e le sue grandi contraddizioni di progresso nella libertà, per abbracciare il massimalismo facile dopo la disciplina realistica unitaria del dopoguerra.

Al bar di Facebook si può ricordare e parlare, La formazione della nazionale di calcio e l'ira funesta dei bamboccioni per un momento accantonati.
http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/essays/eros1-3.php


lunedì 18 novembre 2019

Fuga dalla Realtà

La follia come via di sfogo della mente (Balla, Massa,..) di Conferenza Circonferenza, follia elaborata scientemente
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Alberto Abruzzese vs Ballardini Bruno

a commento di questo doc Bruno Ballardini ha scritto un racconto che mi ha colpito:

<<Mi ritengo fortunato nella vita per aver avuto un Maestro, che per me è stato anche un secondo padre. Curiosamente, come il primo, si chiamava Franco, e tutti e due erano ingegneri di formazione. Tutti e due sono nati e morti in gennaio, irriducibili capricorni. Tutti e due duri e puri e idealisti ma anche pragmatici. Tutti e due con un carattere sanguigno, a volte litigioso, ma anche inaspettatamente dolce e sensibile. Da entrambi ho ereditato il rigore nel metodo e il demone della ricerca. Mi si perdoni se parlo quasi con la stessa familiarità di entrambi, ma sono poche le persone che lasciano veramente un segno nella tua vita influenzando il tuo destino. Curiosamente, il Maestro aveva lasciato gli studi di ingegneria per la composizione musicale, campo che sicuramente sarebbe piaciuto a mio padre che, viceversa, sognava per me un futuro da ingegnere. Invece, scelsi di studiare filosofia all'università e composizione sperimentale e musica elettronica al conservatorio. Più tardi, scoprii che nonostante l'apparente avversione per queste mie due scelte, mio padre ne era invece orgoglioso, perché in realtà facevo quello che lui avrebbe voluto fare veramente. In questo pomeriggio piovoso si affollano i ricordi di quegli anni e i due Franco a volte si sovrappongono, a volte scorrono paralleli accompagnandomi verso quello che io sono oggi e che dovrò ancora essere. All'epoca del conservatorio, il Maestro aveva ormai smesso ogni forma di pratica musicale e coltivava il silenzio. Aveva dichiarato la fine della musica occidentale e spesso ripeteva: "La notazione musicale è la pietra tombale della musica". E infatti, dopo aver scritto dei gioielli durante la stagione strutturalista, aveva deciso di trovare una sintesi tra il punto più alto raggiunto dalla musica occidentale (cioè la composizione) e la parte più vitale della musica antica ed etnica (cioè l'improvvisazione): e così fondò il leggendario gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza. Un gruppo formato esclusivamente da compositori, che avrebbero improvvisato non come semplici musicisti ma quasi "scrivendo" mentalmente ciò che stavano suonando, con livello più alto di consapevolezza nella sperimentazione. Ancora una volta il Maestro aveva spiazzato tutti con un'idea rivoluzionaria. Dopo quella stagione irripetibile, si dedicò a completare il suo libro "Dal silenzio a un nuovo mondo sonoro". Lentamente e faticosamente, per i suoi problemi alla vista (che non gli impedivano però di divorare ancora libri su libri, appoggiando un occhio già aiutato da occhiali e lenti a contatto, a una lente d'ingrandimento quasi a contatto della pagina). Alla fine delle lezioni lo accompagnavo sottobraccio dal Santa Cecilia a piazza del Popolo dove c'erano ad attenderlo la moglie Irmela e il piccolo Jonas. Mio padre chiedeva ogni tanto notizie su di lui, incuriosito dal suo modo di pensare stranamente vicino al suo. Il Maestro era soprattutto una persona estremamente severa, rigorosa, la sua capacità analitica, il dovere etico di cercare di mantenere sempre un visione d'insieme e l'attitudine a portare sempre i ragionamenti alle estreme conseguenze, sono quanto di più prezioso mi rimane di lui. E poi la sua lezione di umiltà: come un maestro Zen, usava soprannominare tutti "maestro", anche gli allievi, sapendo che prima o poi ciascuno di noi in qualche modo sarebbe diventato "maestro" di qualcosa e non necessariamente nella musica. Ricordo ancora quando lo accompagnavo nella sala concerti del conservatorio ad ascoltare l'esecuzione di qualche nuovo autore di musica contemporanea. A volte si sedeva di fianco a un amico compositore e indicandomi diceva: "Ennio [Morricone] ti presento il maestro Bruno Ballardini..." oppure "Aldo [Clementi] permettimi di presentarti il maestro... E io mi sentivo sprofondare per l'imbarazzo. Ma era il suo modo per costringere gli allievi a dare sempre il meglio, a non cedere mai alla mediocrità. Fino al giorno in cui mio padre di prima mattina ricevette una telefonata dal Maestro che voleva parlare con me di una cosa importante e grave, che coinvolgeva il corso al Santa Cecilia. Ci aveva riuniti tutti in un gruppo di ricerca intorno ad un altro ingegnere, Lorenzo Viesi, titolare di una piccola ditta che produceva apparecchiature di alta precisione per la misurazione elettronica (come mi riferì mio padre in seguito, quando avviai una ricerca e gli chiesi informazioni su questo personaggio un po' oscuro: mio padre era dirigente della televisione e mi disse che conosceva bene la Sintelco di Viesi, erano fornitori RAI). Avevamo già partecipato a delle riunioni con Viesi e, come primo atto per la costituzione del gruppo, lui ci sottopose ad un questionario scritto che sembrava piuttosto un interrogatorio di polizia. Me lo portai a casa, lo studiai attentamente, e decisi di non compilarlo accompagnandolo con una mia lettera e restituendolo così al Maestro che doveva riportare le buste all'ingegnere. Nella lettera scrivevo in modo secco che piuttosto che compilare quel questionario sarei entrato nelle Brigate Rosse.
Mio padre mi passò la cornetta preoccupato. Aveva captato a sua volta il tono preoccupato del Maestro. "Bruno avrei bisogno di vederti, dobbiamo parlare, vediamoci se puoi a Piazza Sallustio per le dieci". Andai sul posto e lo vidi veramente agitato. Esordì con: "Io ti devo chiedere scusa". "Ma per cosa?", dissi. E lui: "Devo chiederlo anche agli altri del corso. Ma quello che hai scritto è MOLTO pericoloso, per fortuna che non è andato in mano all'ingegnere. Ma adesso parliamo camminando così non ci sente nessuno". Io non riuscivo a capire. Camminammo lentamente intorno alla piazza per due o tre volte e mi rivelò cose che facevo fatica ad accettare, le stesse per cui in aula, al conservatorio, a volte abbassava la voce parlando di certi argomenti o ci diceva "Parliamo piano perché possono sentirci". Molti amici e colleghi avevano già iniziato a deriderlo per queste sue manie, altri lo prendevano bonariamente per un visionario. Questa volta però mi rivelò dati oggettivi e cose che non potevano essere delle fantasie. Eravamo già allora tutti sotto controllo. Il progetto dell'ingegnere era l'ultima speranza per il Maestro, la possibilità concreta di un nuovo sistema musicale e di un nuovo mondo sonoro. Ma aveva bisogno di un gruppo di ricerca per costringere l'ingegnere a sfruttare il suo brevetto per la musica (in realtà era un progetto complesso con diverse parti brevettate in diversi paesi in modo tale che nessuno potesse appropriarsene), mentre una parte del progetto poteva avere anche utilizzi bellici e questo faceva gola agli americani e i soldi che gli promettevano facevano gola all'ingegnere. "Vi chiedo scusa perché in qualche modo io vi ho usati", concluse il Maestro. Io rimasi in silenzio per un po'. Avevo la sensazione di aver ricevuto un pugno allo stomaco: tutto quello di cui parlavano i settimanali come Panorama e l'Espresso a proposito di trame e di servizi segreti, tutto quello che sembrava lontano e fantascientifico nel mio idealismo politico di studente, si era improvvisamente materializzato ed era diventato vero e concreto. Il Maestro mi raccontò di "incontri" non voluti e di come tutti coloro che a quell'epoca manifestavano una dissidenza perfino culturale se non politica erano controllati e schedati. Controllo totale. Mi rivelò perfino di conoscere fotografi che all'epoca dell'omicidio di Giorgiana Masi avevano ripreso sui tetti cecchini con fucili di precisione che non erano in dotazione alle nostre forze dell'ordine, puntati sulla folla. E questi fotografi avevano paura di pubblicare quelle foto perché sapevano benissimo che cosa sarebbe accaduto dopo. E questo era solo uno dei tanti esempi che mi fece per avvertirmi di essere più cauto. Tornai a casa stordito e nei mesi successivi vissi una grossa crisi. Più avanti, diversi anni dopo, mi giunse notizia che durante la guerra nelle Falkland gli inglesi sperimentarono una nuova apparecchiatura che emetteva onde sonore con cui seminarono lo scompiglio fra le truppe argentine. Io sapevo che cos'era quella macchina. Iniziai a raccogliere dati e in seguito vidi lo stesso progetto sviluppato ulteriormente con delle apparecchiature per l'ordine pubblico e il controllo sociale. Il primo test fu effettuato con successo contro i manifestanti di "Occupy Wall Street". A quel punto non riuscii più a starmene zitto e pubblicai un articolo dettagliato su Wired, nel numero di aprile 2012. E non ho mai più smesso di mantenere uno stato di "allerta" costante sui nuovi sviluppi tecnologici di cui riesco ad intuire in anticipo l'uso e la ricaduta sociale (e politica) grazie alla formazione in un certo senso "ingegneristica" che ho ricevuto dai miei due padri. Io spero che da qualche parte, in qualche modo, si siano incontrati, e magari giochino a scacchi o dibattano sui destini del mondo. E da quel luogo mi guidino ancora. O almeno mi sorridano.

Nel video: Franco Evangelisti, fondatore del gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza, al pianoforte preparato. Insieme a lui, Ennio Morricone che improvvisa qualche nota con la tromba senza molta convinzione (di lì a poco, passerà alla musica da film, abbandonando del tutto la ricerca, cosa che fra i "duri e puri" venne considerata un tradimento)>>.

domenica 17 novembre 2019

Bar-thes


Pigri

Sine


Lavorare


Sport 62

Intanto la volata sotto la tribuna A del Morrone pieno di tutti gli studenti delle scuole superiori (1) e i 💯 delle regionali che vinco nettamente su tutti i migliori coetanei (2)

Oh NinA

Anni novanta per cominciare (NinA sysop e digitali romani sparsi)

deep link

deep link #t=XmYYs/#t=0m27s
YouTube ha introdotto la possibilità di linkare ad un punto specifico dei video. Tutto si riassume in una stringa del tipo “#t=2m05s”. La sintassi è semplice: “#t” ad indicare il signicato del valore successivo, “2m05s” ad indicare il punto esatto (minuti, secondi) in cui si intende far iniziare il filmato


Ora, con il digitale il sogno della sperimentazione è possibile;
il meccanismo invocato da Costa e Spatola per sfuggire al
confezionamento dei redattori di riviste una volta per tutte,
è un timecode che individua e memorizza i punti che vengono
toccati dagli utenti attivi della videorivista in lettura.
La casualità è data dall'interazione confusa della massa di visitatori,
dalla complessità inconsapevole che essi rappresentano, le tecniche
poi di rappresentazione dei processi che la costituiscono siano le più
varie prima che la cosmesi fabulatoria le agghindi. Ad esempio, la
posta in onda.

il seme nel bicchiere

Taglia il limone e aiutandosi col coltello ne ricava i semi. Toglie con le mani lo strato più esterno dei semi, e li avvolge in un fazzoletto. Chiude il fazzoletto in un sacco, e lo lascia al buio. Dopo circa 20 giorni i semi iniziano a germogliare, quindi piantarli inserendo nel terreno il germoglio

Ora

Sic transit gloria mundi così il cretino campa come la capra sopra la panca: lui (Lui) ha spadroneggiato sulla tua (Tua) vita e il tempo non pareggia  niente - Lui la Tua vita l'ha ... per sempre, in quel tanto, ..

Possiamo sempre fare finta, di niente, è vero..

Passato che torna

"Le foglie gialle consumate / in mucchi..*Antonio Barbieri"

sabato 16 novembre 2019

La prima fuga

Su corso Mazzini

SnapShot

Che non vuol dire fissare ordinatamente i punti: ritornare a Socrate con Koyrè


💯 per cento

Al party della rotonda sul mare, con una serie di barzellette nonsense all'orecchio dell'amico architetto lo stendo 😁: va per terra, alla lettera, sono dei calembours surreali
(Spunta il comico in poesia..🙃?)


Gioco

il più bel gioco matematico è il calcio, subito dopo è il pensare con parole (ce n'è un'altro?), infine.. L.N.Tolstoj, sembra che ...