a commento di questo doc Bruno Ballardini ha scritto un racconto che mi ha colpito:
<<Mi ritengo fortunato nella vita per aver avuto un Maestro, che per me è stato anche un secondo padre. Curiosamente, come il primo, si chiamava Franco, e tutti e due erano ingegneri di formazione. Tutti e due sono nati e morti in gennaio, irriducibili capricorni. Tutti e due duri e puri e idealisti ma anche pragmatici. Tutti e due con un carattere sanguigno, a volte litigioso, ma anche inaspettatamente dolce e sensibile. Da entrambi ho ereditato il rigore nel metodo e il demone della ricerca. Mi si perdoni se parlo quasi con la stessa familiarità di entrambi, ma sono poche le persone che lasciano veramente un segno nella tua vita influenzando il tuo destino. Curiosamente, il Maestro aveva lasciato gli studi di ingegneria per la composizione musicale, campo che sicuramente sarebbe piaciuto a mio padre che, viceversa, sognava per me un futuro da ingegnere. Invece, scelsi di studiare filosofia all'università e composizione sperimentale e musica elettronica al conservatorio. Più tardi, scoprii che nonostante l'apparente avversione per queste mie due scelte, mio padre ne era invece orgoglioso, perché in realtà facevo quello che lui avrebbe voluto fare veramente. In questo pomeriggio piovoso si affollano i ricordi di quegli anni e i due Franco a volte si sovrappongono, a volte scorrono paralleli accompagnandomi verso quello che io sono oggi e che dovrò ancora essere. All'epoca del conservatorio, il Maestro aveva ormai smesso ogni forma di pratica musicale e coltivava il silenzio. Aveva dichiarato la fine della musica occidentale e spesso ripeteva: "La notazione musicale è la pietra tombale della musica". E infatti, dopo aver scritto dei gioielli durante la stagione strutturalista, aveva deciso di trovare una sintesi tra il punto più alto raggiunto dalla musica occidentale (cioè la composizione) e la parte più vitale della musica antica ed etnica (cioè l'improvvisazione): e così fondò il leggendario gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza. Un gruppo formato esclusivamente da compositori, che avrebbero improvvisato non come semplici musicisti ma quasi "scrivendo" mentalmente ciò che stavano suonando, con livello più alto di consapevolezza nella sperimentazione. Ancora una volta il Maestro aveva spiazzato tutti con un'idea rivoluzionaria. Dopo quella stagione irripetibile, si dedicò a completare il suo libro "Dal silenzio a un nuovo mondo sonoro". Lentamente e faticosamente, per i suoi problemi alla vista (che non gli impedivano però di divorare ancora libri su libri, appoggiando un occhio già aiutato da occhiali e lenti a contatto, a una lente d'ingrandimento quasi a contatto della pagina). Alla fine delle lezioni lo accompagnavo sottobraccio dal Santa Cecilia a piazza del Popolo dove c'erano ad attenderlo la moglie Irmela e il piccolo Jonas. Mio padre chiedeva ogni tanto notizie su di lui, incuriosito dal suo modo di pensare stranamente vicino al suo. Il Maestro era soprattutto una persona estremamente severa, rigorosa, la sua capacità analitica, il dovere etico di cercare di mantenere sempre un visione d'insieme e l'attitudine a portare sempre i ragionamenti alle estreme conseguenze, sono quanto di più prezioso mi rimane di lui. E poi la sua lezione di umiltà: come un maestro Zen, usava soprannominare tutti "maestro", anche gli allievi, sapendo che prima o poi ciascuno di noi in qualche modo sarebbe diventato "maestro" di qualcosa e non necessariamente nella musica. Ricordo ancora quando lo accompagnavo nella sala concerti del conservatorio ad ascoltare l'esecuzione di qualche nuovo autore di musica contemporanea. A volte si sedeva di fianco a un amico compositore e indicandomi diceva: "Ennio [Morricone] ti presento il maestro Bruno Ballardini..." oppure "Aldo [Clementi] permettimi di presentarti il maestro... E io mi sentivo sprofondare per l'imbarazzo. Ma era il suo modo per costringere gli allievi a dare sempre il meglio, a non cedere mai alla mediocrità. Fino al giorno in cui mio padre di prima mattina ricevette una telefonata dal Maestro che voleva parlare con me di una cosa importante e grave, che coinvolgeva il corso al Santa Cecilia. Ci aveva riuniti tutti in un gruppo di ricerca intorno ad un altro ingegnere, Lorenzo Viesi, titolare di una piccola ditta che produceva apparecchiature di alta precisione per la misurazione elettronica (come mi riferì mio padre in seguito, quando avviai una ricerca e gli chiesi informazioni su questo personaggio un po' oscuro: mio padre era dirigente della televisione e mi disse che conosceva bene la Sintelco di Viesi, erano fornitori RAI). Avevamo già partecipato a delle riunioni con Viesi e, come primo atto per la costituzione del gruppo, lui ci sottopose ad un questionario scritto che sembrava piuttosto un interrogatorio di polizia. Me lo portai a casa, lo studiai attentamente, e decisi di non compilarlo accompagnandolo con una mia lettera e restituendolo così al Maestro che doveva riportare le buste all'ingegnere. Nella lettera scrivevo in modo secco che piuttosto che compilare quel questionario sarei entrato nelle Brigate Rosse.
Mio padre mi passò la cornetta preoccupato. Aveva captato a sua volta il tono preoccupato del Maestro. "Bruno avrei bisogno di vederti, dobbiamo parlare, vediamoci se puoi a Piazza Sallustio per le dieci". Andai sul posto e lo vidi veramente agitato. Esordì con: "Io ti devo chiedere scusa". "Ma per cosa?", dissi. E lui: "Devo chiederlo anche agli altri del corso. Ma quello che hai scritto è MOLTO pericoloso, per fortuna che non è andato in mano all'ingegnere. Ma adesso parliamo camminando così non ci sente nessuno". Io non riuscivo a capire. Camminammo lentamente intorno alla piazza per due o tre volte e mi rivelò cose che facevo fatica ad accettare, le stesse per cui in aula, al conservatorio, a volte abbassava la voce parlando di certi argomenti o ci diceva "Parliamo piano perché possono sentirci". Molti amici e colleghi avevano già iniziato a deriderlo per queste sue manie, altri lo prendevano bonariamente per un visionario. Questa volta però mi rivelò dati oggettivi e cose che non potevano essere delle fantasie. Eravamo già allora tutti sotto controllo. Il progetto dell'ingegnere era l'ultima speranza per il Maestro, la possibilità concreta di un nuovo sistema musicale e di un nuovo mondo sonoro. Ma aveva bisogno di un gruppo di ricerca per costringere l'ingegnere a sfruttare il suo brevetto per la musica (in realtà era un progetto complesso con diverse parti brevettate in diversi paesi in modo tale che nessuno potesse appropriarsene), mentre una parte del progetto poteva avere anche utilizzi bellici e questo faceva gola agli americani e i soldi che gli promettevano facevano gola all'ingegnere. "Vi chiedo scusa perché in qualche modo io vi ho usati", concluse il Maestro. Io rimasi in silenzio per un po'. Avevo la sensazione di aver ricevuto un pugno allo stomaco: tutto quello di cui parlavano i settimanali come Panorama e l'Espresso a proposito di trame e di servizi segreti, tutto quello che sembrava lontano e fantascientifico nel mio idealismo politico di studente, si era improvvisamente materializzato ed era diventato vero e concreto. Il Maestro mi raccontò di "incontri" non voluti e di come tutti coloro che a quell'epoca manifestavano una dissidenza perfino culturale se non politica erano controllati e schedati. Controllo totale. Mi rivelò perfino di conoscere fotografi che all'epoca dell'omicidio di Giorgiana Masi avevano ripreso sui tetti cecchini con fucili di precisione che non erano in dotazione alle nostre forze dell'ordine, puntati sulla folla. E questi fotografi avevano paura di pubblicare quelle foto perché sapevano benissimo che cosa sarebbe accaduto dopo. E questo era solo uno dei tanti esempi che mi fece per avvertirmi di essere più cauto. Tornai a casa stordito e nei mesi successivi vissi una grossa crisi. Più avanti, diversi anni dopo, mi giunse notizia che durante la guerra nelle Falkland gli inglesi sperimentarono una nuova apparecchiatura che emetteva onde sonore con cui seminarono lo scompiglio fra le truppe argentine. Io sapevo che cos'era quella macchina. Iniziai a raccogliere dati e in seguito vidi lo stesso progetto sviluppato ulteriormente con delle apparecchiature per l'ordine pubblico e il controllo sociale. Il primo test fu effettuato con successo contro i manifestanti di "Occupy Wall Street". A quel punto non riuscii più a starmene zitto e pubblicai un articolo dettagliato su Wired, nel numero di aprile 2012. E non ho mai più smesso di mantenere uno stato di "allerta" costante sui nuovi sviluppi tecnologici di cui riesco ad intuire in anticipo l'uso e la ricaduta sociale (e politica) grazie alla formazione in un certo senso "ingegneristica" che ho ricevuto dai miei due padri. Io spero che da qualche parte, in qualche modo, si siano incontrati, e magari giochino a scacchi o dibattano sui destini del mondo. E da quel luogo mi guidino ancora. O almeno mi sorridano.
Nel video: Franco Evangelisti, fondatore del gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza, al pianoforte preparato. Insieme a lui, Ennio Morricone che improvvisa qualche nota con la tromba senza molta convinzione (di lì a poco, passerà alla musica da film, abbandonando del tutto la ricerca, cosa che fra i "duri e puri" venne considerata un tradimento)>>.
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