giovedì 7 novembre 2019

«sul più bello» 💅

1972, La seconda parte è costituita da un glossario, che spiega i neologismi della prima, una specie di ‘Dizionario dei luoghi comuni’ dove, con una scelta di tempo esemplare e facendo sfoggio di un funambolismo filologico efficacissimo, l’autore conduce un attacco a fondo alla ‘linguetica’, la moderna e onnipresente linguistica.
Alfredo Giuliani
PERCHE' LASCIO LA DIREZIONE DI « QUINDICI »

«Quindici» è un giornale fondato sulla fiducia interna, non sulla routine professionistica. Un gruppo di scrittori lo ha inventato dal nulla, e io sono uno di questi. Credevamo di poter fare una cosa che allargasse un poco la nostra udienza, e l'abbiam fatta. Abbiamo avuto successo,più di quanto noi stessi speravamo. Il merito non è mio, né del direttore editoriale. Il merito è della. fiducia reciproca che ha sorretto tutti noi. Io stesso, quale responsabile, non ero che un fiduciario del collettivo. Nessuno mi ha tolto la fiducia, e io la conservo da parte mia per tutti i collaboratori.

Dunque perché, «sul più bello», ho deciso di andarmene? È difficile da spiegare, e mi ci proverò.

Forse occorrerebbe un lungo discorso, una cronistoria minuziosa. Negli ultimi tempi mi estenuavo, più che a' raccogliere il «materiale», in lotte sempre meno allegre per bloccare le infiltrazioni di materiale oscuro e demagogico. Il mio crescente disagio nasceva dalla sensazione sempre più opprimente di essere entrato, quasi senza accorgermene, nella Ortodossia del Dissenso.
 Sia chiaro che io sono stato felice di pubblicare nei numeri scorsi certi documenti: le carte rivendicative degli studenti dell'Università di Torino, la teologia della violenza, la protesta dei cittadini di Orgosolo, sono fatti che noi abbiamo portato per primi all'attenzione di una grande cerchia di, lettori, fatti che era giusto parlassero con il loro linguaggio.

Ma il materiale di cui è composta una rivista è forse meno importante dell'atmosfera in cui viene proposto.

Il passaggio dal documento, o dall'argomento, «giusto» al documento, o all'argomento, «facile» avviene in maniera percettibile ma subdola. Comincia il ricatto psicologico della cosa di cui si deve parlare. Il Dissenso diventa una merce che bisogna fornire. Non si ragionapiù se non col Dissenso Comune. Il disagio s'è precisato: è il rifiuto di prestarsi al consumo del Dissenso. Mancano i nessi, è confusa la prospettiva politica. Allora lo stesso «materiale» che posto in una precisa coscienza riceverebbe la tua incondizionata approvazione, ti appare come puro alibi, deposito di angoscia, rogna politicosa.
Un giornale come il nostro dovrebbe essere aperto a errori e fantasie, testimonianze contradditorie e sani litigi (questo, infatti, è puntualmente avvenuto); ciò che «Quindici» non può sopportare, senza snaturarsi, è anche il solo sospetto della pressione irrazionale e della prevaricazione (esercitate ora per soddisfare l'ipotetico lettore, ora perché tira il vento). Il giornale non è un fatto compiuto, la sua struttura interna potrà anche essere riveduta. Ma la mia impressione è che sta diventando un'altra cosa da quella che volevamo; e, naturalmente, posso sbagliarmi.
 Comunque sia, prima che comodi equivoci siano messi in giro, dico esplicitamente che non ci si può costringere perpetuamente nel falso dilemma: «credi o no alla rivoluzione?» - perché sappiamo tutti benissimo (e abbiamo lottato negli anni scorsi per saperlo fino in fondo) che, sia chiaroveggente ~ sprofondi nell'incertezza, lo scrittore vive sempre sul filo e potrà rivelarsi rivoluzionario nell'incertezza o pompiere nella chiaroveggenza; ma pei, chi è che vede tanto chiaro, oggi?

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