L’arte assiste
emana calore
come le persone care
eppure è impotente
come le persone care
quando l’artista muore
L’arte assiste
solo chi ha cara l’arte
quanto all’artista
e alle persone care
devono andarsene
non c’è niente da fare.
(Nello Risi)
30 luglio 019
mercoledì 31 luglio 2019
mercoledì 24 luglio 2019
Sosia
La7:Coffee Break
LA CALESSI e
su Rai3: la studentessa sosia
UNA FACCIA UNICA MA SONO ALMENO SETTE
UNA FACCIA UNICA MA SONO ALMENO SETTE
lunedì 22 luglio 2019
1948
In breve, la tesi di Sartre è la seguente, tutta psicologica ed “esistenzialistica”: l’antisemitismo è una passione, una scelta di se stesso, collegata al senso della proprietà, al desiderio di appartenere ad una élite irrazionale. L’antisemita vegeta fra i non-produttori (classi medie), divide in modo manicheo il mondo fra bene e male, è un «sadico dal cuore puro»; è un uomo che ha paura di se stesso, della propria libertà e che si serve dell’ebreo come pretesto. Il rapporto fra antisemita ed ebreo è insomma soltanto un momento della nota tensione hegeliana fra il Padrone e il Servo.
Pessimo difensore dell’ebreo è il “democratico”, colui il quale proclama che tutti gli uomini sono eguali e che perciò accetta l’ebreo a condizione che l’ebreo si neghi come tale, si assimili cioè all’idea astratta di uomo che il democratico idoleggia. In realtà non esiste – dice Sartre – nulla, né caratteri fisici né caratteri spirituali che permettano di identificare l’Ebreo. Quel che fa sì che, nonostante tutto, esistano gli Ebrei, è la loro condizione, la loro “situazione”: «l’Ebreo è in situazione di Ebreo perché vive in seno ad una comunità che lo considera Ebreo». L’ebreo, lo producono in non ebrei. In certo senso, si è sempre l’ebreo di qualcuno e si genera sempre un ebreo da noi. Questa paradossale situazione non permette all’ebreo che due soluzioni: accettarsi o non accettarsi, essere ebreo autentico oppure ebreo inautentico. Qui Sartre esercita la sua eccezionale acutezza dialettica ad esaminare, con pungente casistica, le contraddizioni e le attitudini dell’ebreo-che-si-nega, dell’ebreo non autentico e gli atteggiamenti fondamentali del pensiero ebraico convergenti quasi sempre ad affermazioni razionalistiche, volti inconsciamente a dimostrare la profonda eguaglianza extrastorica di tutti gli uomini.
E finalmente Sartre offre una formula per la risoluzione del problema: da parte degli ebrei, sviluppo della loro autenticità, accettazione della loro posizione, rifiuto della assimilazione “democratica”; da parte dei non ebrei (e anche degli ebrei) distruzione di quel mondo che permette la separazione degli uomini e il loro isolamento in seno alla comunità, il conflitto di interessi, lo smembramento delle passioni: Il mondo della società divisa in classi. L’antisemitismo è una rappresentazione mitica e borghese della lotta di classe. È anche per gli ebrei che faranno la rivoluzione, dice Sartre. E, intanto, dobbiamo «dimostrare a ciascuno che il destino degli ebrei è il destino. Non ci sarà un francese libero finché gli ebrei non godranno della pienezza dei loro diritti, non un francese vivrà in sicurezza un ebreo in Francia e nel mondo intero potrà temere per la propria esistenza».
Naturalmente, i limiti di questo vivacissimo saggio sono appunto i limiti della sua descrizione psicologica. Essa contiene soprattutto una contraddizione fondamentale: se l’ebreo è soltanto ciò che lo fa antisemita, come può l’ebreo “assumersi”, “accettarsi”? Che cosa accetta? Se l’immagine dell’ebreo nella mente dell’antisemita è un fantasma superstizioso, dovrà l’ebreo, per essere autentico, per liberarsi e per ergersi contro l’antisemita, accettare la realtà di quel fantasma? Il paragone col proletariato non regge: infatti la borghesia può considerare il proletariato come classe inferiore, ma non come classe oppressa. E il proletariato passa alla coscienza rivoluzionaria sentendosi non già inferiore, non gravato da una irrazionale minorazione, ma oppresso “razionalmente”, oppresso e sfruttato. Insomma l’ebreo non può, per cessar di fuggire di fronte al fantasma di se stesso, fermarsi e identificarsi con quel fantasma. Se siamo d’accordo che la religione, le consuetudini, i caratteri somatici ecc. non bastano a qualificare taluno ebreo; se siamo d’accordo che è necessario, perché la parola “ebreo” abbia quel preciso e inesplicabile sapore, che essa venga pronunciata da un antisemita esplicito o inconscio, bisogna rompere il cerchio fatato e irrazionale della dialettica superstiziosa del padrone e dello schiavo, tradurla in dialettica reale, quella della propria situazione di classe. E l’atto primo di questa scelta è razionale, non ammette perciò, non può ammettere, nessun riprodursi della dannata coppia.
Soprattutto ci stupisce che Sartre traccia, non soltanto del celebre saggio del nostro Cattaneo Sulle interdizioni ebraiche che è un notevolissimo tentativo di spiegare con gli elementi della storia economica il permanere dell’antisemitismo, ma anche della Judenfrage di Marx giovane (1844) che contiene le eccezionali pagine sul problema religioso e imposta correttamente la questione dell’emancipazione ebraica. «L’emancipazione politica – scrive Marx – non è l’emancipazione umana», «Il Giudaismo è la comune applicazione pratica del Cristianesimo», la «nazionalità del mercante», lo spirito per eccellenza borghese. E dunque «l’emancipazione sociale dell’Ebreo è l’emancipazione della società dall’Ebraismo». Al di fuori degli arzigogoli hegeliani che affollano di antitesi verbali alcune di quelle pagine di Marx, il problema vi è fortemente individuato, e completa l’indagine di Sartre: no si distrugge insomma la sporca piaga dell’antisemitismo (né quelle di tute le altre forme di antisemitismo che si annidano nella nostra società) facendo appello alla universale “natura umana”, alla eguaglianza astratta (e nemmeno – aggiungiamo noi – ricordando l’universale discendenza da uno stesso Padre, perché un fatto di irrazionale collettivo non si risolve nella pericolosa zona dell’irrazionale religioso, se non per anime individue e in termini socialmente non identificabili). La figura storica dell’antisemita e dell’ebreo, con tutta la infetta coorte di passioni verminose, si distrugge soltanto trasferendo il conflitto nel “materiale” terreno della lotta delle classi e delle strutture di produzione e di scambio, in termini cioè sociali e politici, ai limiti dell’ambiguo giuoco di specchi dell’autocoscienza. L’ebreo in quanto coscientemente difende o combatte certe posizioni di classe, non sente più su di sé l’ombra dell’antisemita. E in quel punto anche l’antisemita scompare; ossia si rivela soltanto per quel che è: un inconscio agente del privilegio.
«L’Avanti!», Milano 10 luglio 1948

( https://francofortini.wordpress.com/1948/07/10/gli-ebrei-di-sartre/ )
Pessimo difensore dell’ebreo è il “democratico”, colui il quale proclama che tutti gli uomini sono eguali e che perciò accetta l’ebreo a condizione che l’ebreo si neghi come tale, si assimili cioè all’idea astratta di uomo che il democratico idoleggia. In realtà non esiste – dice Sartre – nulla, né caratteri fisici né caratteri spirituali che permettano di identificare l’Ebreo. Quel che fa sì che, nonostante tutto, esistano gli Ebrei, è la loro condizione, la loro “situazione”: «l’Ebreo è in situazione di Ebreo perché vive in seno ad una comunità che lo considera Ebreo». L’ebreo, lo producono in non ebrei. In certo senso, si è sempre l’ebreo di qualcuno e si genera sempre un ebreo da noi. Questa paradossale situazione non permette all’ebreo che due soluzioni: accettarsi o non accettarsi, essere ebreo autentico oppure ebreo inautentico. Qui Sartre esercita la sua eccezionale acutezza dialettica ad esaminare, con pungente casistica, le contraddizioni e le attitudini dell’ebreo-che-si-nega, dell’ebreo non autentico e gli atteggiamenti fondamentali del pensiero ebraico convergenti quasi sempre ad affermazioni razionalistiche, volti inconsciamente a dimostrare la profonda eguaglianza extrastorica di tutti gli uomini.
E finalmente Sartre offre una formula per la risoluzione del problema: da parte degli ebrei, sviluppo della loro autenticità, accettazione della loro posizione, rifiuto della assimilazione “democratica”; da parte dei non ebrei (e anche degli ebrei) distruzione di quel mondo che permette la separazione degli uomini e il loro isolamento in seno alla comunità, il conflitto di interessi, lo smembramento delle passioni: Il mondo della società divisa in classi. L’antisemitismo è una rappresentazione mitica e borghese della lotta di classe. È anche per gli ebrei che faranno la rivoluzione, dice Sartre. E, intanto, dobbiamo «dimostrare a ciascuno che il destino degli ebrei è il destino. Non ci sarà un francese libero finché gli ebrei non godranno della pienezza dei loro diritti, non un francese vivrà in sicurezza un ebreo in Francia e nel mondo intero potrà temere per la propria esistenza».
Naturalmente, i limiti di questo vivacissimo saggio sono appunto i limiti della sua descrizione psicologica. Essa contiene soprattutto una contraddizione fondamentale: se l’ebreo è soltanto ciò che lo fa antisemita, come può l’ebreo “assumersi”, “accettarsi”? Che cosa accetta? Se l’immagine dell’ebreo nella mente dell’antisemita è un fantasma superstizioso, dovrà l’ebreo, per essere autentico, per liberarsi e per ergersi contro l’antisemita, accettare la realtà di quel fantasma? Il paragone col proletariato non regge: infatti la borghesia può considerare il proletariato come classe inferiore, ma non come classe oppressa. E il proletariato passa alla coscienza rivoluzionaria sentendosi non già inferiore, non gravato da una irrazionale minorazione, ma oppresso “razionalmente”, oppresso e sfruttato. Insomma l’ebreo non può, per cessar di fuggire di fronte al fantasma di se stesso, fermarsi e identificarsi con quel fantasma. Se siamo d’accordo che la religione, le consuetudini, i caratteri somatici ecc. non bastano a qualificare taluno ebreo; se siamo d’accordo che è necessario, perché la parola “ebreo” abbia quel preciso e inesplicabile sapore, che essa venga pronunciata da un antisemita esplicito o inconscio, bisogna rompere il cerchio fatato e irrazionale della dialettica superstiziosa del padrone e dello schiavo, tradurla in dialettica reale, quella della propria situazione di classe. E l’atto primo di questa scelta è razionale, non ammette perciò, non può ammettere, nessun riprodursi della dannata coppia.
Soprattutto ci stupisce che Sartre traccia, non soltanto del celebre saggio del nostro Cattaneo Sulle interdizioni ebraiche che è un notevolissimo tentativo di spiegare con gli elementi della storia economica il permanere dell’antisemitismo, ma anche della Judenfrage di Marx giovane (1844) che contiene le eccezionali pagine sul problema religioso e imposta correttamente la questione dell’emancipazione ebraica. «L’emancipazione politica – scrive Marx – non è l’emancipazione umana», «Il Giudaismo è la comune applicazione pratica del Cristianesimo», la «nazionalità del mercante», lo spirito per eccellenza borghese. E dunque «l’emancipazione sociale dell’Ebreo è l’emancipazione della società dall’Ebraismo». Al di fuori degli arzigogoli hegeliani che affollano di antitesi verbali alcune di quelle pagine di Marx, il problema vi è fortemente individuato, e completa l’indagine di Sartre: no si distrugge insomma la sporca piaga dell’antisemitismo (né quelle di tute le altre forme di antisemitismo che si annidano nella nostra società) facendo appello alla universale “natura umana”, alla eguaglianza astratta (e nemmeno – aggiungiamo noi – ricordando l’universale discendenza da uno stesso Padre, perché un fatto di irrazionale collettivo non si risolve nella pericolosa zona dell’irrazionale religioso, se non per anime individue e in termini socialmente non identificabili). La figura storica dell’antisemita e dell’ebreo, con tutta la infetta coorte di passioni verminose, si distrugge soltanto trasferendo il conflitto nel “materiale” terreno della lotta delle classi e delle strutture di produzione e di scambio, in termini cioè sociali e politici, ai limiti dell’ambiguo giuoco di specchi dell’autocoscienza. L’ebreo in quanto coscientemente difende o combatte certe posizioni di classe, non sente più su di sé l’ombra dell’antisemita. E in quel punto anche l’antisemita scompare; ossia si rivela soltanto per quel che è: un inconscio agente del privilegio.
«L’Avanti!», Milano 10 luglio 1948

( https://francofortini.wordpress.com/1948/07/10/gli-ebrei-di-sartre/ )
domenica 21 luglio 2019
tenere diario
Ci fu un tempo in cui la gente aveva l'abitudine di rivolgersi frequentemente se stessa e non si vergognava di registrare le proprie vicende interiori.
Ma tenere un diario al giorno d’oggi é considerato una specie di debolezza verso se stessi, un vizio, soprattutto una cosa di cattivo gusto. Perché questa é un’epoca rude. Oggi, il codice dell’atleta, del giovanottone gagliardo - eredita americana, direi, del gentleman inglese - quel curioso miscuglio di sforzi, d’ascetismo e di disciplina che alcuni fanno risalire ad Alessandro Magno é piu in auge che mai. Avete del sentimento? Ci sono modi corretti, e non, di mostrarlo. Avete una vita interiore? Non riguarda altri che voi. Avete emozioni? Soffocatele.
L'uomo in bilico, 15 dicembre 1942 nato 15 novembre 1944
L'uomo in bilico, 15 dicembre 1942 nato 15 novembre 1944

UMBERTO MINOPOLI 30
Umberto Minopoli 13 h · 50 anni fa lo sbarco sulla Luna. Per l'occasione ripropongo un mio saggio ( pubblicato qualche mese fa sul Foglio) sulla politica spaziale oggi. Per chi interessa... Singolare coincidenza. La foto del secolo, la prima di un “buco nero”, l’oggetto piu’ enigmatico dell’Universo osservabile, cade in un anno particolare: a luglio faranno 50 anni dallo sbarco sulla Luna. Quella foto ci dice dove e’ arrivato oggi l’occhio dell’uomo: cosa e’ l’esplorazione spaziale oggi. L’immagine che ritrae il true noir, il buco posizionato al centro della galassia M87 (o Virgo A), a circa 53 milioni di anni luce dalla Terra, ha qualcosa di impressionante, quasi sconcertante. Che non riguarda pero’, soltanto, l’emozione della conferma visiva dell’esistenza dei buchi: l’oggetto cosmico piu’ supposto (sono almeno 263 anni che se ne ipotizza l’esistenza) e meno osservato. Fu un reverendo inglese, geologo e padre della sismologia moderna, John Mitchell, il primo a supporre che, in qualche luogo dello spazio, fosse rintracciabile un corpo celeste ( una stella nera) , di tale gravita’, che la velocita’ di fuga da esso potesse impedire perfino alla luce di scappare. Per due secoli e mezzo il true noir, il buco nero come lo nomino’ Sir Archibald Wheeler, il piu’ geniale fisico del 900 dopo Einstein, e’ stato ricercato, ascoltato (nelle criptiche emissioni radio e X di spazi galattici lontani), misurato ( di recente nei fantastici effetti delle onde gravitazionali). Mai osservato. L’alea rimasta allo scetticismo circa l’impalbabile, nascosta, riluttante, ritrosa natura del buco nero, la sua renitenza a mostrarsi e’, definitivamente, caduta. La nudita’ del buco, il profilo ineffabile “dell’orizzonte degli eventi”, finalmente, esibita. Ma cio’ che colpisce della “foto del secolo” e’ altro. Cos’e’ in realta’ l’Event Horizon Telescope? Direi: un’impresa di ingegneria osservativa senza precedenti. Combinando i dati raccolti da ben otto telescopi, distribuiti su tutto il globo terrestre, l’EHT ha realizzato un telescopio virtuale grande come l’intero pianeta. Per comporre l’immagine di un oggetto cosmico, un buco nero supermassivo, distinto al centro di M87, una galassia ellittica lontana. A sua volta distinta, tra migliaia di altre, nell’Ammasso della Vergine, uno dei piu’ grandi dell’universo “vicino”. Questo fantastico evento esplorativo avviene a 50 anni da quel 20 luglio del 1969 in cui l’Apollo 11 violo’ il suolo lunare del Mare della Tranquillita’. C’e’ uno strano paradosso che la coincidenza dei due eventi richiama: l’occhio dell’uomo penetra lo spazio profondo, le imperscrutabili distanze delle galassie piu’ lontane e fissa le immagini degli oggetti piu’ ineffabili del deep space ma l’uomo, da 50 anni, come esploratore diretto, e’ in fondo rimasto confinato entro la coltre rassicurante della atmosfera terrestre. Sembrerebbe lecito un interrogativo: quello di Niel Armstrong e Buzz Aldrin fu davvero il “grande balzo per l’umanità” che il trionfale allunaggio del 69 sembrava annunciare? In fondo sulla Luna abbiamo smesso, quasi subito, di andarci. In poco meno di tre anni, tra il 1969 e il 1972, ci hanno messo piede 12 uomini con le 7 missioni Apollo (una sola abortita). Poi, dopo i 6 anni del programma spaziale più spettacolare, di maggior successo e popolarità, lo stop. Nessun’altra missione esplorativa umana ha più raggiunto le distanze del nostro satellite (384.400 Km). Le massime altezze a cui ci siamo spinti, in questi 50 anni, sono quelle delle rassicuranti orbite terrestri, quelle in cui (a 400 km sopra le nostre teste) vola la Stazione Spaziale Internazionale. Che 200 uomini e donne, astronauti di oltre 12 paesi, hanno abitato dal 2000. L’esplorazione umana dello spazio, quella oltre la nostra atmosfera, è ferma ormai da 47 anni. Un’eternità. L’allunaggio concluse, con la vittoria americana, la guerra fredda spaziale tra le due superpotenze del dopoguerra. Soddisfatti e oberati (il Vietnam incombeva) gli americani cancellarono i costosi voli umani extra atmosferici. Mai più ripresi. Ma gli ultimi 40 anni non sono stati affatto anni di regresso e stagnazione della politica dello spazio. Anzi. L’esplorazione umana si è interrotta. In cambio però il panorama della corsa allo spazio ha conosciuto una trasformazione epocale. Che oggi sembra concludersi. Ma per inaugurare, addirittura, la fase di un rinascimento spaziale, quella che un report della Morgan Stanley, definisce la fase della new space economy. Parecchi paradigmi della letteratura economica del decennio della “grande crisi” e della globalizzazione risultano smentiti dalle promesse del rinascimento spaziale. Il dogma antiliberista, in primis. La tesi del fallimento di mercato, l’idea che l’innovazione e le rivoluzioni tecnologiche sono innescate solo dall’intervento pubblico, dallo stimolo keynesiano delle agenzie statali è, clamorosamente, smentita e rovesciata dai caratteri della nuova economia dello spazio. Dove avviene l’esatto contrario: a tassi, tutto sommato, ristretti della spesa pubblica sul Pil dei paesi OECD impegnati (oggi una sessantina) nella corsa allo spazio (circa 50 miliardi di dollari) il fatturato mondiale, a tassi di crescita del 7% annui, ha raggiunto, nel 2017, i 385 miliardi. Con un moltiplicatore sconosciuto negli anni d’oro dei grandi investimenti pubblici keynesiani, trainati dalla spesa militare. Davvero una riscrittura di luoghi comuni in voga sul capitalismo della globalizzazione. E dove il driver di un nuovo sviluppo è decisamente l’impresa privata con i suoi investimenti. E non più la spesa statale in esclusiva. Ma cos’è lo spazio oggi? E’ vera l’impressione che lo sbarco sulla luna abbia chiuso l’epoca dell’esplorazione? Affatto. Mai come negli ultimi 40 anni si è realizzato un balzo di entità paragonabile nella esplorazione e conoscenza dello spazio profondo. L’umanità dispone di un’infrastruttura di grandi telescopi, a terra e nello spazio (con alla testa il leggendario Hubble), che hanno scandagliato lo spazio profondo e intergalattico in tutte le finestre di emissione della banda elettromagnetica. Ridisegnando la visione dell’universo osservabile. Fino alla straordinaria missione di Kepler, il telescopio che, osservando la regione galattica tra le costellazioni del Cigno e della Lira, ci ha restituito l’esistenza di ben 2.335 esopianeti solo in quella zona del quartiere galatttico. Nove sonde esplorative, invece, negli ultimi 30 anni hanno completato la conoscenza del sistema solare esterno (quello oltre l’orbita di Marte), orbitando i grandi pianeti gassosi o ghiacciati e le loro lune, svelando una realtà inedita e sorprendente della complessità di questi oggetti (ai fini, anche degli interrogativi sull’origine e le possibilità della vita oltre la fascia abitabile in cui orbita il nostro pianeta). Missioni spettacolari si sono realizzate su asteroidi e comete che restituiscono i dettagli di oggetti decisivi ai fini della mappatura dei pericoli e delle risorse del sistema solare. Infine Marte. Per decenni, per una strana maledizione, il pianeta rosso sembrava volersi sottrarre alla penetrazione dei suoi misteri. Rendendo un’utopia il sogno della sua conquista. Oggi, invece, con osservatori in orbita (le americane Mars Odyssey e Mars Reconnaisance e l’europea Mars Express) e robot mobili (Curiosity e Opportunity) sul suolo marziano, che ne stanno dettagliando la mappa, il viaggio sul pianeta rosso è entrato, finalmente, nella finestra della fattibiltà. Non prima della missione più ravvicinata: il ritorno sulla Luna e la costruzione di una stazione permanente in orbita cislunare (come luogo logistico per la missione su Marte e per i viaggi interplanetari del futuro). Il settore, ovviamente, decisivo per la ripresa dell’esplorazione è quello del trasporto. Dove sta avvenendo una vera rivoluzione, concettuale e operativa. Il trasporto (lanci, combustibile, razzi, navicelle, moduli ecc.) e’ il segmento proibitivo (costi della propulsione) per le missioni con grandi carichi e per le prospettive delle esplorazioni umane oltre l’orbita terrestre e oltre la luna. Qui sta diventando protagonista l’impresa privata. Nel settore chiave, monopolio statale per eccellenza data l’esosità dei costi. Nel 2018 solo l’agenzia spaziale cinese (sovvenzionata dallo Stato) ha superato Space X di Elon Musk, per numeri di lanci. Battuti anche i russi che contavano di crearsi (con il loro razzo Proton) un monopolio nel trasporto. La rivoluzione dei costi, realizzata da Musk con i suoi razzi Falcon fa leva sulla innovazione dei razzi recuperabili. Che abbassa drasticamente il costo del lancio. La frontiera del trasporto aperta da Musk sta perciò diventando da luogo (par excellence) del monopolio statale, quello di un’aperta concorrenza tra privati. Il continuo abbassamento dei costi del lancio diventa la chiave competitiva. E Musk ha indicato la strada immediata: aumento dei carichi utili (trasporti verso le stazioni spaziali) e turismo spaziale (per ora subito nelle orbite della bassa atmosfera terrestre). Il trasporto, ovviamente, non è il solo driver della rivoluzione liberista dello spazio. L’Ocse parla di una “quinta fase dello sviluppo spaziale” (2018/2033) in cui il valore del settore dell’upstream (infrastrutture materiali e produttive, razzi, satelliti, rover ecc), la manifattura dello spazio, sarà superato dal valore del downstream: i servizi e le applicazioni basate su infrastrutture spaziali. Già oggi oltre 1000 satelliti operativi orbitano la Terra. Ed altri 600 si aggiungeranno. Oltre 50 paesi sono, ormai, entrati nel club degli operatori satellitari. Facendo dello spazio già oggi il comparto dell’economia tra i più globali e competitivi. Le applicazioni satellitari entrano nelle catene del valore di quasi tutti i settori della domanda di servizi: da quelli tradizionali ormai delle telecomunicazioni, della difesa, e dell’osservazione della Terra (ambiente e meteorologia) ai servizi di navigazione e posizionamento, all’agricoltura, al turismo. Servizi e applicazioni significa gestione di big data. Che si rivela come, nell’immediato, il segmento più promettente della new space economy. E con qualche insidia. Pensiamo già oggi alle polemiche tra Cina ed Usa sul 5G. Ma la gamba del downstream dei servizi (ormai in pieno sviluppo) non è la sola del business spaziale. E, forse, in prospettiva nemmeno la più promettente in termini di valore. Il vero futuro della nuova economia dello spazio è epocale: riguarda lo sfruttamento delle materie prime. A partire dal sottosuolo della luna alla cattura di asteroidi Neo (vicini alle orbite terrestri) per l’estrazione di materie prime. La luna, ad esempio, è una vera miniera. E’ il prodotto di una contaminazione originaria con il nostro pianeta. Nella sua crosta ha tutte le materie prime del nostro sottosuolo (silicio, potassio, ossigeno, magnesio, ferro, titanio, calcio, alluminio). Ma anche sostanze per noi quasi esotiche: ad esempio il graal , il mitico elio-3, il combustibile dell’energia eterna, la fusione nucleare, il sole sulla terra. E, sulla luna, ghiacciata nei crateri e nei poli lunari, c’è l’acqua. Ma non c’è solo la luna come miniera di materie prime. Anche lo sfruttamento degli asteroidi è promettente. E costituisce già oggi la frontiera di società e compagnie sorte allo scopo. Le quantità ipotizzabili dello sfruttamento minerario dello spazio cambia del tutto il tradizionale timore dell’esaurimento delle risorse fisiche, fossili, di materie prime, di sostanze rare (esempio quelle essenziali nell’industria elettronica). Bastano questi accenni sulla portata della new space economy per intuire qual’è il vero problema politico dell’immediato futuro: quello della regolazione, dell’architettura istituzionale che deve accompagnare la nuova rivoluzione dello spazio. E che non è più un conflitto ristretto a poche potenze. Ma un grande problema di regole globali per l’accesso alle risorse dello spazio. Forse è questo il tema più intricante del futuro per il governo globale del pianeta.
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L'EVOLUZIONE DELLA SPECIE
una macchina per scrivere
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sabato 20 luglio 2019
venerdì 19 luglio 2019
Le lodi
Cerami è morto, Pace all'Anima sua Salute a Noi, siamo qui per seppellirlo, non per tesserne le lodi. Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, e spesso il bene viene sotterrato con le loro ossa.
Era un puro, un'ingenuo, un cretino di talento, era miracolosamente "bravo", ma noi per questo non gli perdoneremo certo un'infamia come il film del suo sodale "La vita è bella", no, mai.
http://www.intratext.com/ixt/ITA0008/?fbclid=IwAR0n-7y1AChvQoz4HSn8NRUfhNWtkCdgf_MIG5KNe5J3kJ76Nc2RbYrKx2w
Era un puro, un'ingenuo, un cretino di talento, era miracolosamente "bravo", ma noi per questo non gli perdoneremo certo un'infamia come il film del suo sodale "La vita è bella", no, mai.
http://www.intratext.com/ixt/ITA0008/?fbclid=IwAR0n-7y1AChvQoz4HSn8NRUfhNWtkCdgf_MIG5KNe5J3kJ76Nc2RbYrKx2w
giovedì 18 luglio 2019
SMS 2.0 di Google
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Discussione: Edgar Allan Poe ridimensiona gli scacchi (troppo vecchio per rispondere) Raffaele Iannucci 5 anni fa_Raw MessageReport [...] Le facoltà più elevate dell'intelligenza riflessiva sono messe alla prova più a fondo e con maggiore utilità dal gioco più modesto della dama piuttosto che dall'elaborata frivolezza degli scacchi. In quest'ultimo gioco, dove i pezzi si muovono con mosse diverse e BIZZARRE, secondo dei valori vari e variabili, ciò che è soltanto complesso viene scambiato (errore piuttosto comune) per ciò che è profondo. Si richiede qui la massima capacità d'attenzione. Distrarsi per un attimo significa commettere una svista da cui deriverà un danno o una sconfitta. Poiché le mosse possibili non sono soltanto molteplici, ma anche complesse, le occasioni per simili sviste si moltiplicano, e nove volte su dieci vince la partita non il giocatore più acuto, ma quello che sa maggiormente concentrarsi. Nel gioco della dama, invece, dove il movimento è UNICO e consente poche variazioni, le probabilità di distrazioni sono minori, e dal momento che la semplice attenzione viene impegnata solo relativamente, i risultati ottenuti da entrambi gli avversari sono attribuibili soltanto a una maggiore dose di ACUMEN.
Discussione: Edgar Allan Poe ridimensiona gli scacchi (troppo vecchio per rispondere) Raffaele Iannucci 5 anni fa_Raw MessageReport [...] Le facoltà più elevate dell'intelligenza riflessiva sono messe alla prova più a fondo e con maggiore utilità dal gioco più modesto della dama piuttosto che dall'elaborata frivolezza degli scacchi. In quest'ultimo gioco, dove i pezzi si muovono con mosse diverse e BIZZARRE, secondo dei valori vari e variabili, ciò che è soltanto complesso viene scambiato (errore piuttosto comune) per ciò che è profondo. Si richiede qui la massima capacità d'attenzione. Distrarsi per un attimo significa commettere una svista da cui deriverà un danno o una sconfitta. Poiché le mosse possibili non sono soltanto molteplici, ma anche complesse, le occasioni per simili sviste si moltiplicano, e nove volte su dieci vince la partita non il giocatore più acuto, ma quello che sa maggiormente concentrarsi. Nel gioco della dama, invece, dove il movimento è UNICO e consente poche variazioni, le probabilità di distrazioni sono minori, e dal momento che la semplice attenzione viene impegnata solo relativamente, i risultati ottenuti da entrambi gli avversari sono attribuibili soltanto a una maggiore dose di ACUMEN.
ScuolaZoo
Alberto Berretti
Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ingegneria Informatica, Universita' di Tor Vergata
Circola la notizia secondo la quale molti studenti che escono dalla terza media – si parla di uno su tre, ma mi sembra irrilevante – hanno dei gravi problemi di comprensione del testo, come rilevato dai famosi test Invalsi: un numero preoccupante. Circola – a dire il vero, circola di meno – anche la notizia che non sarebbe vero e che le cose vanno bene, accompagnata dal solito commento un filino spocchioso dello studioso – questa volta non di medicina ma di docimologia – secondo il quale voi non avete il diritto di discutere del problema perché non siete esperti.
Indice degli argomenti
Invalsi o non Invalsi, abbiamo un problema
Sia chiaro: non ho bisogno dei testi Invalsi o quello che è per sapere che c’è un problema. Né devo aver fatto profondi studi di docimologia per accorgermene.
Mi basta guardare i compiti di Analisi Matematica 1 degli studenti del primo anno di Ingegneria – un campione già abbastanza “raffinato” e “depurato” dai casi limite dunque – in cui mi è capitato di vedere cose come il chiedersi cosa succede alle soluzioni di una equazione quando varia 1 (che, forse non ci arrivate perché non ci potete nemmeno credere che qualcuno lo possa pensare, essendo un numero ben preciso, semplicemente… non varia!).
Mi basta ascoltare un po’ di esami orali in cui solo gli studenti più brillanti capiscono ad esempio che differenza c’è tra giustapporre due fatti A e B e metterci in mezzo “e” (i due fatti accadono entrambi) o dire che “se A allora B” (il che implica una logica di conseguenza che da A conduce a B): niente, per costoro c’è solo la vicinanza lessicale delle parole, che non riescono ad analizzare ulteriormente per cogliere il tipo di nesso logico che collega A e B. O l’incapacità di articolare verbalmente un ragionamento in modo che si capisca (1) perché il concetto in questione mi serve (2) perché lui e non altri (3) come funziona (4) come lo uso – attività mentali che nel mio contesto servono per capire l’Analisi Matematica ma che ovviamente sono un modus operandi universale.
E si, una volta – dove una volta vuol dire più di una quindicina di anni fa – tutto questo non succedeva; e si, la situazione apparentemente peggiora di anno in anno.
Scuola, lo scontro tra opposte fazioni
Ma se la situazione non mi fa indulgere all’ottimismo, i commenti che leggo in giro ancora di meno. Siamo ancora allo scontro frontale fra i sostenitori di una “modernizzazione” della scuola, tipicamente sempre più verso la diluizione dei programmi tradizionali in un insieme di progetti e di attività che ruotano attorno al digitale, fra chi pensa che “alle aziende” servano studenti che hanno studiato coding (ma che è poi? ne parliamo dopo) o competenze STEM(per chi non è del giro: STEM è acronimo inglese per Science, Technology, Engineering and Mathematics), e fra i sostenitori di quella che io chiamo la scuola BDSM(non googlate l’acronimo che è meglio): più grammatica, più analisi logica, più complementi, tanti compiti a casa, selezione, ordine e disciplina.
Il teatrino fra queste due fazioni – un teatrino ridicolo – continua sui social, in interminabili discussioni, prosegue nei Consigli di Istituto e nei Collegi dei Docenti delle scuole, sui media, dappertutto. Ma è un teatrino ridicolo e disgustoso tra due posizioni insostenibili, fatto allegramente mentre il sistema si deteriora e sforna studenti di livello sempre inferiore ed incapaci di affrontare problemi anche solo un poco complessi.
Stavamo meglio prima?
Sono passati dieci anni da quanto su un blog oramai chiuso postavo le disavventure grammaticali di un mio figlio all’epoca in terza media, alle prese con lo studio della Poesia: si, della Poesia con la P maiuscola, della Poesia in generale. Avete presente come nei libri delle elementari tutte le colline sono dolci e ci crescono viti e olivi, pretendendo di descrivere l’essenza dell’essere Collina magari a chi vive in collina e non c’è manco un’olivo o una vite? Bene, analogamente il libro di terza media pretendeva di spiegare cos’è una Poesia in generale (problema al quale le migliori menti letterarie e filosofiche degli ultimi duemila anni si sono adoperate senza soluzioni definitive). E come lo faceva? Facendo leggergli tante poesie e chiedendogli “ragazzi secondo voi cos’hanno in comune?” No. Spiegando il linguaggio poeticointroducendo – no shit – i concetti di: inversione, iperbato, paragone, metafora, sinestesia, ossimoro, metonimia, anafora ed epifora, concludendo parlando di simbolismo, denotazione e connotazione.
Segue esercizio: trova gli iperbati (manco fossero dei Pokémon rari). Il sottoscritto, che si maturò classicamente nell’ormai lontano 1976 con la votazione di sessanta sessantesimi con lode, non aveva mai sentito nominare gli iperbati nella sua intera carriera scolastica.
Se avessi una collezione di grammatiche italiane provenienti da varie epoche potrei anche rappresentare graficamente il proliferare del numero di tipi di pronomi e aggettivi nel tempo. O volendo, tanto per fare un po’ di scandalo presso i sostenitori della scuola BDSM, potrei dire che spiegare ai ragazzi la differenza tra complemento d’agente e complemento di causa efficiente è assolutamente ridicolo, stupido ed inutile (ed è solo un esempio…), e che chiamare questa cosa analisi logica è un’offesa alla logica.
O vogliamo parlare dei programmi di matematica e fisica cresciuti a dismisura nei licei? Le derivate al Liceo Classico? Le equazioni differenziali al Liceo Scientifico? La relatività e la meccanica quantistica sempre al Liceo Scientifico? Senza ovviamente che gli studenti ne capiscano un’acca. O il coding, la programmazione, intesa come buttar giù due righe di Javascript – si, di Javascript! – da far girare in un browser, ignorando che programmare vuol dire innanzitutto comprendere un problema a fondo ben prima di scrivere una riga di codice! Anzi tipicamente il momento in cui inizi a porti il problema di scrivere un programma per risolvere un problema è il momento in cui sei costretto a pensare al problema seriamente, e ti accorgi che il medesimo era mal compreso o mal posto e lo devi ripensare: tutto questo senza scrivere ancora una riga di codice (sorvolo sul delirio di usare come primo linguaggio di programmazione Javascript, che è probabilmente un caso isolato di cui sono stato accidentalmente testimone).
Ma veramente credevate che smettendo di interrogare, e quindi di far parlare, di interagire con gli studenti, di argomentare e discutere con loro, perché non c’è tempo signora mia devo avere 4 voti a quadrimestre come faccio, credete che sostituendo il momento fondamentale dell’interrogazione con una stupida verifica scritta (anche non a risposte multiple…) si ottenessero risultati migliori? E a chi obietta – come sopra – dicendo che non ha tempo di interrogare e coprire il programma al tempo stesso, rispondo che da una parte non c’è bisogno di arrivare al Caso Moro e a Tangentopoli facendo Storia alle superiori, ad esempio (quella non è Storia, manca totalmente la prospettiva storica per parlare da storico di quei fatti… e ciononostante c’è chi ci arriva…), e dall’altra che quarant’anni fa ci riuscivano egregiamente. Basta fare inutili verifiche scritte, prendete i ragazzi e portateli alla cattedra, alla lavagna e fateli parlare. A ruota libera su un argomento, non “a domanda rispondi”.
L’importanza della conoscenza del linguaggio naturale, prima del coding
Credevate davvero che continuando a parlare di coding, di STEM, e di altre cose simili si poteva ottenere un risultato diverso? Non capite che la matematica, la fisica, le scienze vanno in primis comunicate e comprese verbalmente?
Non esiste e non può esistere una comprensione delle scienze matematiche e naturali, e anche dell’informatica (direi anzi soprattuttodell’informatica) senza prima una conoscenza eccellente del linguaggio naturale – e quindi dei problemi concreti da risolvere, come essi vengono comunicati. Era il grande Edsger W. Dijkstra che diceva nella sua celebre Turing Award Lecture del 1972 (The Humble Programmer) che in primis l’insegnamento dell’informatica consiste nell’insegnamento di una metodologia, piuttosto che la semplice disseminazione di nozioni(e nel 1972 la ridicola nozione di competenze come contrapposte a conoscenze non aveva ancora preso piede).
Ed ora, dopo un ventennio di iperbati da una parte, e di competenze, STEM, coding, etc. dall’altra, vi ritrovate con una generazione di incapaci. Non me ne stupisco minimamente. Voglio peraltro vedere quale azienda assume un giovane che non sa parlare compiutamente e non capisce un testo, anche se ha studiato Python a scuola.
Ed è un peccato, perché la scuola in realtà potrebbe essere contemporaneamente seria e divertente.
@RIPRODUZIONE RISERVATA
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mercoledì 17 luglio 2019
ricerca di senso
Per farla breve insomma vorrei che qualcuno facesse per me il lavoro che sistema le cose in modo poi che il caso possa risolversi in combinazioni della materia ordinata nell'archivio storico.
![]() |
Mancinelli e Bene |
Questo comunque riguarda ciò che sappiamo e lascia aperta la ricerca di senso, che non è finita mai ed è ben sopra il libro che si decidesse di pubblicare.
database oggetivi del soggetto
E curioso che proprio nel momento in cui rivendica il bisogno della massima obiettività del dato l'inchiesta audiovisiva abbia bisogno del massimo di soggettività da cui partire, l'arte: i database per giungere alla soggettività obiettiva dei singoli.
[Elio Pagliarani the reader] ADRIANO SPATOLA (videorlab 1990) IL BOOMERANG]
martedì 16 luglio 2019
La chiesetta
La chiesetta è un’invenzione estiva del 1994. Il pubblico è pensato in piedi, la scena è spostata a destra per lasciare l’asse centrale libero al passaggio eventuale dei paesani in visita al manufatto restaurato e restituito al pubblico nella giornata di festa: dall’ingresso centrale fino all’uscita nella vecchia sagrestia dietro l’altare rimosso per lasciare un breve palcoscenico in pietra con in alto il coro e l’organo che ora lascia il posto ad una console.
Davanti agli artisti addossati a destra alla parete, appoggiati a sporgenze architettoniche alla base: il piano del jazzista di castrovillari, la telecamera, gli stativi dei fari, microfoni e soltanto una fila di sedie che delimita lo spazio scenico, su cui sono seduti i performer che si alterneranno al comando del conduttore che improvvisa la scaletta.
domenica 14 luglio 2019
Sapeur
I sapeur congolesi sono gli esponenti della Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes: la società delle persone eleganti e di quelli che “sanno creare l’atmosfera”, come amano definirsi. E lo fanno, in un zone poverissime, investendo tutti i loro averi in abiti e accessori.
💯
ilmuseoimmaginario.blogspot.com/2017/03/dandissimi-i-sapeur-congolesi-fashion.html?fbclid=IwAR3tEACJ0fXwjY7G-kXvPX3zrT0-bnKMXJ5VPApa0IvfEFMHAICKUSlcZD0&m=1
venerdì 12 luglio 2019
giovedì 11 luglio 2019
«Lettore del Testo»
der Sternenhimmel über mir, la rete neurale alla base della tecnologia di Big G che analizza i documenti PDF o le scansioni dei documenti cartacei e compie delle previsioni sulle condizioni del «Lettore del Testo» nell'immediato e nel futuro prossimo.
L'accuratezza dei risultati del sistema è così elevata che Google ha già pianificato degli esperimenti in diversi universi..
L'accuratezza dei risultati del sistema è così elevata che Google ha già pianificato degli esperimenti in diversi universi..
sabato 6 luglio 2019
1979] Il primo incontro.
}40Quaranta{2019
Emma aveva incontrato altri miei tumultuosi studenti nel '79 proprio in quella occasione a via della Lungara tra gli stand della memorabile Esposizione dei suoi allievi ospite dell'Accademia Nazionale dei Lincei che rendeva omaggio al suo lavoro ( e della prof. Mancini) in margine ad un'interessante convegno internazionale dei didatti della matematica.
Emma si aggirava nelle sale in cui suoi ex-studenti richiamati in servizio illustravano ai miei studenti, tra gli altri, venuti in gita d'istruzione dalla provincia ( S.Marinella, report) e da par suo notò l'irriverenza incuriosita che animava questi studenti venuti con i bus che stazionavano nei giardini antistanti alla palazzina. Capii che era lei, Emma, per caso, non la conoscevo di persona (qualcuno la chiamò in disparte per nome), in quanto il suo osservare discreto e poco in evidenza non era additato e sottolineato da particolari rilievi istituzionali dell'evento - erano i lavori e con essi i loro autori-studenti al centro della Mostra e della sua animazione.
Chiese in giro chi fossero questi ospiti numerosi ed attivi; temetti il peggio, non lo nego, la sua aria severa lasciava presagire una reprimenda, non la conoscevo ripeto prima di allora ed ebbi il solito riflesso difensivo di un'attività border line come la mia con questi studenti di periferia. Mi fu subito chiaro però che stava riflettendo proprio sulle domande che i miei numerosi allievi, un centinaio, ponevano irritualmente ai malcapitati espositori loro colleghi - Emma colse subito, saltando la forma eterodossa delle interlocuzioni, che i miei studenti naif avevano l'atteggiamento giusto dell'indagine irriverente, che lei non temeva, ma che anzi auspicava!
Per avere un'idea dei ragazzi d'allora ascoltate le voci registrate [/liceogalilei/] che ho pubblicato in questo blog.
Confronto dunque tra un'esperienza centrale, ed autorevole, come quella del Tasso (e del Virgilio) di Roma, e quella periferica, di base, il Galilei di S.Marinella [/i-libri-della-matematica.html].
}40Quaranta{2019
Emma aveva incontrato altri miei tumultuosi studenti nel '79 proprio in quella occasione a via della Lungara tra gli stand della memorabile Esposizione dei suoi allievi ospite dell'Accademia Nazionale dei Lincei che rendeva omaggio al suo lavoro ( e della prof. Mancini) in margine ad un'interessante convegno internazionale dei didatti della matematica.
Emma si aggirava nelle sale in cui suoi ex-studenti richiamati in servizio illustravano ai miei studenti, tra gli altri, venuti in gita d'istruzione dalla provincia ( S.Marinella, report) e da par suo notò l'irriverenza incuriosita che animava questi studenti venuti con i bus che stazionavano nei giardini antistanti alla palazzina. Capii che era lei, Emma, per caso, non la conoscevo di persona (qualcuno la chiamò in disparte per nome), in quanto il suo osservare discreto e poco in evidenza non era additato e sottolineato da particolari rilievi istituzionali dell'evento - erano i lavori e con essi i loro autori-studenti al centro della Mostra e della sua animazione.
Chiese in giro chi fossero questi ospiti numerosi ed attivi; temetti il peggio, non lo nego, la sua aria severa lasciava presagire una reprimenda, non la conoscevo ripeto prima di allora ed ebbi il solito riflesso difensivo di un'attività border line come la mia con questi studenti di periferia. Mi fu subito chiaro però che stava riflettendo proprio sulle domande che i miei numerosi allievi, un centinaio, ponevano irritualmente ai malcapitati espositori loro colleghi - Emma colse subito, saltando la forma eterodossa delle interlocuzioni, che i miei studenti naif avevano l'atteggiamento giusto dell'indagine irriverente, che lei non temeva, ma che anzi auspicava!
Per avere un'idea dei ragazzi d'allora ascoltate le voci registrate [/liceogalilei/] che ho pubblicato in questo blog.
Confronto dunque tra un'esperienza centrale, ed autorevole, come quella del Tasso (e del Virgilio) di Roma, e quella periferica, di base, il Galilei di S.Marinella [/i-libri-della-matematica.html].
venerdì 5 luglio 2019
Etica del lavoro
Mario da NY a Cittadella '60, "quando negli anni50 sono arrivati i portoricani .." ecco il reddito di cittadinanza, - i newyorkesi cercano sempre lavoro, v'è un segno di identità
giovedì 4 luglio 2019
L'occhio
Sempre sul bordo [al margine del campo, ma pienamente dentro nello sguardo complessivo]
🙄
*per esempio dei database, per non essere fagocitati dalle tecnicalità - come era per le espressioni algebriche a scuola
😲
-{ 40 milioni di italiani nell'inps nei database
🙄
*per esempio dei database, per non essere fagocitati dalle tecnicalità - come era per le espressioni algebriche a scuola
😲
-{ 40 milioni di italiani nell'inps nei database
martedì 2 luglio 2019
Rondinini
Chiedo aiuto a Mario davanti al bar, viene, sale sulla sedia e libera l'uccelletto che pencola impaniato dal nido. Da cacciatore - a mia memoria, dallo sparo sui grandi alberi lungo la roggia secca davanti casa - lo associo ai volatili della marina.
lunedì 1 luglio 2019
Ciborio
il gesto di chi si para con il braccio dall'offesa (colto e condiviso) , la statua ricorda il dolore inferto e lo fissa, già nel diario di minori, e viene utile a segno.
Come la frase a Mergellina, "interessa l'Oggetto?"
Gli stradini di Roma
Gli stradini di Roma, quelli dei sanpietrini, la chiamavano la ballerina, in lingua la mazzaranga. Gergo sublime, per dire la mazzola ferrata verticale con cui si picchiava sui cubetti di porfido per mandarli giù in posizione tra gli altri per fare il selciato.
Cioè fare il comico linguistico per lastricare la strada del senso.
Cioè fare il comico linguistico per lastricare la strada del senso.
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Gioco
il più bel gioco matematico è il calcio, subito dopo è il pensare con parole (ce n'è un'altro?), infine.. L.N.Tolstoj, sembra che ...
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il più frettoloso figliolo del tempo / il disinganno / si nutre di sottigliezze acerrime e conclusive Francesco Queirolo ha scolpito ne...