lunedì 22 luglio 2019

1948

In breve, la tesi di Sartre è la seguente, tutta psicologica ed “esistenzialistica”: l’antisemitismo è una passione, una scelta di se stesso, collegata al senso della proprietà, al desiderio di appartenere ad una élite irrazionale. L’antisemita vegeta fra i non-produttori (classi medie), divide in modo manicheo il mondo fra bene e male, è un «sadico dal cuore puro»; è un uomo che ha paura di se stesso, della propria libertà e che si serve dell’ebreo come pretesto. Il rapporto fra antisemita ed ebreo è insomma soltanto un momento della nota tensione hegeliana fra il Padrone e il Servo.

Pessimo difensore dell’ebreo è il “democratico”, colui il quale proclama che tutti gli uomini sono eguali e che perciò accetta l’ebreo a condizione che l’ebreo si neghi come tale, si assimili cioè all’idea astratta di uomo che il democratico idoleggia. In realtà non esiste – dice Sartre – nulla, né caratteri fisici né caratteri spirituali che permettano di identificare l’Ebreo. Quel che fa sì che, nonostante tutto, esistano gli Ebrei, è la loro condizione, la loro “situazione”: «l’Ebreo è in situazione di Ebreo perché vive in seno ad una comunità che lo considera Ebreo». L’ebreo, lo producono in non ebrei. In certo senso, si è sempre l’ebreo di qualcuno e si genera sempre un ebreo da noi. Questa paradossale situazione non permette all’ebreo che due soluzioni: accettarsi o non accettarsi, essere ebreo autentico oppure ebreo inautentico. Qui Sartre esercita la sua eccezionale acutezza dialettica ad esaminare, con pungente casistica, le contraddizioni e le attitudini dell’ebreo-che-si-nega, dell’ebreo non autentico e gli atteggiamenti fondamentali del pensiero ebraico convergenti quasi sempre ad affermazioni razionalistiche, volti inconsciamente a dimostrare la profonda eguaglianza extrastorica di tutti gli uomini.

E finalmente Sartre offre una formula per la risoluzione del problema: da parte degli ebrei, sviluppo della loro autenticità, accettazione della loro posizione, rifiuto della assimilazione “democratica”; da parte dei non ebrei (e anche degli ebrei) distruzione di quel mondo che permette la separazione degli uomini e il loro isolamento in seno alla comunità, il conflitto di interessi, lo smembramento delle passioni: Il mondo della società divisa in classi. L’antisemitismo è una rappresentazione mitica e borghese della lotta di classe. È anche per gli ebrei che faranno la rivoluzione, dice Sartre. E, intanto, dobbiamo «dimostrare a ciascuno che il destino degli ebrei è il destino. Non ci sarà un francese libero finché gli ebrei non godranno della pienezza dei loro diritti, non un francese vivrà in sicurezza un ebreo in Francia e nel mondo intero potrà temere per la propria esistenza».

Naturalmente, i limiti di questo vivacissimo saggio sono appunto i limiti della sua descrizione psicologica. Essa contiene soprattutto una contraddizione fondamentale: se l’ebreo è soltanto ciò che lo fa antisemita, come può l’ebreo “assumersi”, “accettarsi”? Che cosa accetta? Se l’immagine dell’ebreo nella mente dell’antisemita è un fantasma superstizioso, dovrà l’ebreo, per essere autentico, per liberarsi e per ergersi contro l’antisemita, accettare la realtà di quel fantasma? Il paragone col proletariato non regge: infatti la borghesia può considerare il proletariato come classe inferiore, ma non come classe oppressa. E il proletariato passa alla coscienza rivoluzionaria sentendosi non già inferiore, non gravato da una irrazionale minorazione, ma oppresso “razionalmente”, oppresso e sfruttato. Insomma l’ebreo non può, per cessar di fuggire di fronte al fantasma di se stesso, fermarsi e identificarsi con quel fantasma. Se siamo d’accordo che la religione, le consuetudini, i caratteri somatici ecc. non bastano a qualificare taluno ebreo; se siamo d’accordo che è necessario, perché la parola “ebreo” abbia quel preciso e inesplicabile sapore, che essa venga pronunciata da un antisemita esplicito o inconscio, bisogna rompere il cerchio fatato e irrazionale della dialettica superstiziosa del padrone e dello schiavo, tradurla in dialettica reale, quella della propria situazione di classe. E l’atto primo di questa scelta è razionale, non ammette perciò, non può ammettere, nessun riprodursi della dannata coppia.

Soprattutto ci stupisce che Sartre traccia, non soltanto del celebre saggio del nostro Cattaneo Sulle interdizioni ebraiche che è un notevolissimo tentativo di spiegare con gli elementi della storia economica il permanere dell’antisemitismo, ma anche della Judenfrage di Marx giovane (1844) che contiene le eccezionali pagine sul problema religioso e imposta correttamente la questione dell’emancipazione ebraica. «L’emancipazione politica – scrive Marx – non è l’emancipazione umana», «Il Giudaismo è la comune applicazione pratica del Cristianesimo», la «nazionalità del mercante», lo spirito per eccellenza borghese. E dunque «l’emancipazione sociale dell’Ebreo è l’emancipazione della società dall’Ebraismo». Al di fuori degli arzigogoli hegeliani che affollano di antitesi verbali alcune di quelle pagine di Marx, il problema vi è fortemente individuato, e completa l’indagine di Sartre: no si distrugge insomma la sporca piaga dell’antisemitismo (né quelle di tute le altre forme di antisemitismo che si annidano nella nostra società) facendo appello alla universale “natura umana”, alla eguaglianza astratta (e nemmeno – aggiungiamo noi – ricordando l’universale discendenza da uno stesso Padre, perché un fatto di irrazionale collettivo non si risolve nella pericolosa zona dell’irrazionale religioso, se non per anime individue e in termini socialmente non identificabili). La figura storica dell’antisemita e dell’ebreo, con tutta la infetta coorte di passioni verminose, si distrugge soltanto trasferendo il conflitto nel “materiale” terreno della lotta delle classi e delle strutture di produzione e di scambio, in termini cioè sociali e politici, ai limiti dell’ambiguo giuoco di specchi dell’autocoscienza. L’ebreo in quanto coscientemente difende o combatte certe posizioni di classe, non sente più su di sé l’ombra dell’antisemita. E in quel punto anche l’antisemita scompare; ossia si rivela soltanto per quel che è: un inconscio agente del privilegio.

«L’Avanti!», Milano 10 luglio 1948


    ( https://francofortini.wordpress.com/1948/07/10/gli-ebrei-di-sartre/ )

Nessun commento:

Posta un commento

Gioco

il più bel gioco matematico è il calcio, subito dopo è il pensare con parole (ce n'è un'altro?), infine.. L.N.Tolstoj, sembra che ...